La Rabbia e l’Orgoglio

0 Pubblicato da Gio, 18 Aprile 2013, 10:07

 “ È un Paese così diviso, l’Italia. Così fazioso, così avvelenato dalle sue meschinerie tribali! Si odiano anche all’interno dei partiti, in Italia. Non riescono a stare insieme nemmeno quando hanno lo stesso emblema, lo stesso distintivo, perdio! Gelosi, biliosi, vanitosi, piccini, non pensano che ai propri interessi personali. Alla propria carrieruccia, alla propria gloriuccia, alla propria popolarità di periferia. Per i propri interessi personali si fanno i dispetti, si tradiscono, si accusano, si sputtanano…”
(LA RABBIA E L’ORGOGLIO 
Il Corriere della Sera, 29 settembre 2001 di ORIANA FALLACI)

In questa maniera la Fallaci descrive, con un certo livore, ma con cognizione di causa il modo assurdo di essere “italiani”… e così per esteso alcuni di noi si potrebbero riconoscere nel modo assurdo di essere associati, quali “genitori” con un comune quanto enorme problema: l’autismo dei nostri figli. Forse non ci pensiamo mai abbastanza ma di appelli per un diverso agire, per un migliore modo di prendere le cose e di muoversi uniti, ne abbiamo letti e sentiti quasi ogni anno, ogni assemblea, bollettino, eppure… 
Come le oche di Lorenzo noi genitori di soggetti autistici subiamo precocemente una sorta di “imprinting”. Come loro seguono per tutta la vita l’allevatore solo perché visto per primo alla schiusa al posto della vera madre, attribuendogli il ruolo di guida definitiva…, così noi genitori, individuato tra i tanti parolai “chi” si fa carico concreto di nostro figlio e delle nostre incapacità e paure, realizzato quel minimo di sostegno e di “liberazione dai sensi di colpa e dagli scrupoli”, ottenute quelle definite quattro-sette ore di delega al personaggio o all’istituzione di turno, dimentichiamo, se non con “lamento generico e inconcludente  di controllare veramente la qualità dei percorsi intrapresi e dei risultati ottenuti. Come ‘medici ciarlatani’ nascondiamo i fallimenti dietro il concetto di gravità del caso, dell’inesorabilità della malattia, dell’introvabile soluzione miracolosa. 
Sì, certamente abbiamo molte giustificazioni ma spesso chiudiamo gli occhi, entrambi gli occhi, su una realtà ben compresa (operatori deleganti; tecniche parziali vendute come esaustive; terapie inesistenti; protocolli riabilitativi episodici o addirittura ridicoli; incompetenze; squilibri di rilievo tra capacità e disabilità, miglioramenti e aggravamenti senza spiegazioni; farmaci inefficaci; ecc.), incapaci di ricominciare, di adattarci a fatiche maggiori e aspettiamo, palesando terrore e invocando aiuto, che i problemi divengano ancora più insostenibili affinché si possa chiedere solidarietà per soluzioni non ancora esplorate, non ancora “essenziali”. 
Sappiamo bene che non è da tutti “saper fare la maionese  ma gli ingredienti sono a disposizione. I cuochi (operatori capaci e dedicati) sono rari e spesso si limitano a dettarci le ricette e, troppo frequentemente ancora, a noi tocca gran parte della abilitazioni dei nostri figli. I risultati sono lenti a venire, sono piccoli traguardi che ci sembrano montagne da scalare, non giorno dopo giorno, ma anno dopo anno… ed inoltre sappiamo che se non ci sono questi risultati qualcosa di più adeguato non è stato fatto da noi, dagli operatori, dagli esperti… 

Forse sarebbe tempo anche di fare delle chiarezze tra terapia abilitativa medica, pedagogia speciale, servizi sanitari, scuola, ecc., la terapia abilitativa, la tecnica parziale ecc. Non qui, non ora…
Non per dividerci su polemiche riguardanti questa o quella terapia, né per proclamare il santone di turno scrivo questa lettera ma per trovare una soluzione spero innovativa alle beghe di parrocchia. Anche in ambito di terapie vissute a mo’ di “chiese metodiste o parrocchie fondamentaliste” è bene ricordare che non tutte le parrocchie sono il “Chievo”, non tutte le terapie sono vincenti, e se anziché alla Teacch, alla Ted; all’ABA; alla CF, ecc. (lasciamole gestire agli onnipresenti neuropsichiatri, medici, psicopedagogisti, logopediste, docenti, ecc ) pensassimo al “calcio” al concetto di base l’autismo, al “minimo comune denominatore”, una piattaforma comune su cui poggiare i nostri ammalati. 
Esiste un linguaggio che accomuni? Un procedere semplice, basilare, svincolato dalle grandi terapie, da quelle importanti, che sia corretto e aiuti realmente questi nostri figli a respirare, ad esistere e muoversi in casa, a scuola, in quella specifica situazione senza esserne sopraffatti? E’ possibile tratteggiare un modo di approcciarsi ad un bambino autistico senza combinare guai? Un parlare comune su cui poi applicare qualsiasi terapia? Una ricetta realizzabile da tutti e che serva anche a coloro che terapie non hanno avuto o non hanno e che poi a ben vedere sono la maggioranza assoluta. Perché non ci viene insegnato un modo giusto, generico, di stare con questi bambini al di là di quello che il tale neuropsichiatra od operatore intende fare o non fa, un modo che vada bene ad un italiano come ad un cinese, ad un bambino come ad un adulto, a casa come a scuola?
Noi crediamo che queste conoscenze esistano e cercheremo di definirle.
Un gruppo di operatori e genitori da poco costituitosi vorrebbe dimostrare che questo patrimonio di informazioni accessibili, semplici e fondamentali esiste ed è documentabile così da diffonderne il contenuto per mezzo di video a chiunque ne fosse interessato. Dopo lungo dibattito crediamo inoltre che questo approccio minimo, comune non debba nemmeno essere appreso con fatica ma che si realizzi attraverso poche indicazioni e un po’ di buon senso. 
Per dimostrare che si può diffondere un simile messaggio a chiunque abbia a che fare con bambini affetti da deficit cognitivo relazionale abbiamo scelto inesperti, persone che questa patologia non conoscono e nemmeno hanno mai avuto a che fare con bambini ritardati o cerebrolesi. Questo per dimostrare che chiunque, se informato, può spendere del tempo “utile” con un paziente autistico, senza fatica, e può così contribuire alla sua “abilitazione”, agendo semplicemente in modo corretto o evitando atteggiamenti impropri per questa patologia.
Ci siamo organizzati per le riprese definendo un periodo di lavoro di pochi mesi (due di effettivo lavoro di ripresa video). Abbiamo trovato una villa estiva di una congregazione religiosa e un gruppo di suore disponibili ventiquattro ore al giorno (i laici che abbiamo contattato avevano disponibilità ridotte, molte preoccupazioni e infine prediligevano offerte “costose”) per l’intera estate.
Queste suore, tutte entusiaste, sono inesperte e non hanno mai avuto a che fare con bambini disabili, né con procedure di abilitazione. Alcune di loro penseranno esclusivamente alla gestione della colonia (cibo; pulizie; ecc). Le altre esclusivamente i bambini.
Qualcuno le informerà per circa un’ora prima dell’incontro con quattro bambini, con diversi quadri di autismo, differenti percorsi terapeutici, particolari condizioni e comportamenti problema. A due per turno si affiancheranno e sostituiranno nella presa in carico. Il gruppo di lavoro, come voce fuori campo, spiegherà cosa è giusto fare e cosa non lo è, alle coppie di suore che a turno gestiranno i bambini nell’intero arco della giornata. Ai bambini sarà consentito l’eventuale ciclo terapeutico già in atto, purché organizzato al di fuori ed autonomamente, seppur in parallelo, a quanto effettuato in questa colonia sperimentale, diurna e notturna. I genitori dei bambini non potranno interferire se non in colloqui collettivi con gli operatori coinvolti, due volte al giorno. Potranno solo osservare non visti e alloggeranno fuori dalla colonia. Solo gli esperti responsabili saranno autorizzati a presenziare i lavori in prima persona, direttamente a fianco delle suore, se opportuno.

Il tentativo documentato vuole dimostrare che con minimo dispendio e approcci corretti è possibile vivere a finaco di questi bambini in modo ottimale per chiunque, ridurre le problematiche, le difficoltà e persino predisporre i bambini a miglioramenti in breve tempo. Inoltre con simile logica si cercheranno le strategie utili per ridurre con dolcezza i comportamenti problema. La documentazione video continua serve a dimensionare o ridimensionare gli obiettivi.
Questo è il progetto che stiamo costruendo. 
Non abbiamo ancora il via di tutti genitori che abbiamo dovuto scegliere con criteri di esclusione sulla base di quanto fatto in riabilitazione sino ad ora (un percorso esclude l’altro) ma siamo già soddisfatti per la diversità dei quadri clinici presenti e per l’età tutto sommato non così omogenea.
Ve ne daremo ulteriore comunicazione nel prossimo numero e vorremmo voi ci deste aiuto diretto e il vostro personale parere. 
Saluti Tiziano Gabrielli 
Genitori in Prima Linea 
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