IL PROGRAMMA TEACCH

0 Pubblicato da Gio, 18 Aprile 2013, 11:28

di Donata Vivanti

Che cos’è il programma TEACCH?

Il programma TEACCH, acronimo di Treatment and Education of Autistic and Communication Handicaped Children, non è un metodo di intervento, come generalmente si intende, ma un programma innanzi tutto politico. Con il termine “Programma TEACCH” si intende indicare l’ organizzazione dei servizi per persone autistiche realizzato nella Carolina del Nord, che prevede una presa in carico globale in senso sia “orizzontale” che “verticale”, cioè in ogni momento della giornata, in ogni periodo dell’anno e della vita e per tutto l’arco dell’esistenza, insomma un intervento ” pervasivo ” per un disturbo pervasivo.

Ideato e progettato da Eric Schopler negli anni ‘60, venne sperimentato nella Carolina del Nord per un periodo di 5 anni con l’aiuto dell’Ufficio all’Educazione e dell’Istituto Nazionale della Sanità; dati i risultati estremamente positivi raggiunti, dagli anni ‘70 il programma TEACCH è ufficialmente adottato e finanziato dallo Stato.

L’organizzazione dei servizi prevede 6 centri di diagnosi, 6 centri di aiuto a domicilio, numerose classi speciali presso le scuole, e posti di lavoro per adulti; tutti i servizi sono collegati fra di loro per garantire la globalità e la continuità dell’intervento: in questo modo si è creata una continuità di intervento sia “orizzontale”, cioè in tutti gli ambienti di vita, che “verticale”, cioè per tutto l’arco dell’esistenza, delle persone affette da autismo.

Un programma TEACCH non si può quindi comprare o applicare singolarmente; tutt’al più si potranno organizzare programmi educativi strutturati secondo il modello del programma TEACCH.

In Europa la maggior parte delle scuole o delle classi specializzate per bambini autistici e dei centri di inserimento al lavoro o residenziali per adulti sono attualmente organizzati su modello del programma TEACCH.

L’Olanda e i paesi scandinavi hanno realizzato strutture di presa in carico globale e continuativa sul modello dalla Carolina del Nord.

Qual’è la finalità del programma TEACCH?

Il programma ha come fine lo sviluppo del miglior grado possibile di autonomia nella vita personale, sociale e lavorativa, attraverso strategie educative che potenzino le capacità della persona autistica.

Su quali presupposti si basa il programma TEACCH?

I presupposti su cui il TEACCH si basa per stabilire i criteri di intervento, erano, almeno agli inizi degli anni ‘60, del tutto innovativi: smentita da ricerche di Rutter e dello stesso Schopler una qualunque responsabilità della famiglia nella genesi dell’Autismo, non solo i genitori sono considerati la fonte più attendibile di informazioni sul proprio bambino, ma vengono anche coinvolti nel programma di trattamento con il ruolo di partner dei professionisti.

Inoltre il programma TEACCH è concepito in funzione della definizione di Autismo come

disturbo generalizzato dello sviluppo caratterizzato dalla triade sintomatologica descritta nel DSM ( Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders, Associazione psichiatrica Americana) III e IV, e nell’ICD (International Classification of Deseases and disorders, Organizzazione Mondiale della Sanità) 10: la diagnosi di Autismo si deve quindi basare su test appropriati che evidenzino un disturbo nell’area della comunicazione e della socializzazione, e la presenza di interessi limitati e ripetitivi.

Poichè l’educazione è essenzialmente comunicazione, in presenza di un disturbo della comunicazione, un’attività educativa non potrà non avvalersi di strategie specifiche.

Inoltre, se l’integrazione nella società non può avvenire spontaneamente nel bambino

normale, tanto più il bambino autistico, portatore di un disturbo congenito della capacità

di comprensione sociale, dovrà poter usufruire di strategie educative appropriate.

 

Su quali principi si basa il programma TEACCH?

I principi di base del TEACCH sono del tutto innovativi rispetto alla concezione psicogenetica del disturbo autistico, e comportano di conseguenza caratteristiche di approccio altrettanto innovative.

Se non si crede più ad una responsabilità della famiglia nella genesi del disturbo, una collaborazione attiva nell’intervento da parte dei familiari ne sarà la logica conseguenza, per consentire la generalizzazione delle competenze acquisite e per garantire una coerenza di approccio in ogni attività di vita della persona autistica; il coinvolgimento dei familiari in qualità di partners incide secondo Schopler per il 50% sulle possibilità di successo del programma.

Inoltre l’estrema variabilità delle manifestazioni e dei livelli di sviluppo nell’ambito della sindrome autistica, come viene definita dal DSM III e IV e dall’ICD 10, rendono indispensabile la testimonianza dei genitori per una corretta valutazione delle capacità del soggetto, delle sue potenzialità e del suo livello di sviluppo.

Se l’autismo non viene più considerato una malattia mentale, ma un handicap della comunicazione, della socializzazione e della immaginazione, il bambino autistico non potrà più essere visto come un soggetto normodotato o superdotato che rifiuta di collaborare, ma come una persona svantaggiata, disorientata in un mondo incomprensibile, frustrata dagli insuccessi: come tale dovrà essere aiutata a sviluppare le sue capacità sfruttando i suoi punti di forza, le sue predisposizioni e le sue potenzialità.

Sarà quindi molto importante che durante l’apprendimento il bambino possa essere gratificato da frequenti successi: una volta valutate le sue capacità, i compiti proposti saranno quindi scelti non fra le attività in cui fallisce, ma fra le abilità “emergenti”, cioè fra le prestazioni che il bambino riesce a portare a termine con l’aiuto dell’adulto.

Per lo stesso motivo le capacità visuo-spaziali , generalmente buone nelle persone autistiche, sono alla base della scelta di utilizzare strategie comunicative e strutturazione di tipo visivo. tuttavia il principio della scelta della forma di comunicazione più adatta a supporto della comunicazione verbale dipende dalla valutazione individuale del canale percettivo meglio utilizzabile dal singolo individuo.

La variabilità estrema della sintomatologia e del livello di sviluppo nell’ambito della sindrome autistica richiedono una elaborazione strettamente individuale del programma educativo, con continue e frequenti rivalutazioni e aggiustamenti: se il bambino dispone di un buon programma, apprende in un tempo ragionevole; se l’apprendimento non avviene a breve termine, è il programma che non funziona e che deve essere rivisto.

Per formulare un buon programma educativo è necessario disporre di:

1) una diagnosi corretta:

si appoggia sulla osservazione clinica guidata da test diagnostici specifici non meno che sulle informazioni fornite dai genitori, che hanno del proprio figlio una conoscenza insostituibile.Fra i i test diagnostici per l’Autismo possiamo qui ricordare il CARS (Childhood Autism Rating Scale) di Schopler o il CHAT (Checklist for Autism in Toddlers) di Rutter

2) la valutazionedel livello di sviluppo, attraverso un test appropriato (PEP, profilo psico-educativo) che registra le capacità nelle differenti aree, come imitazione, motricità fine e globale, coordinazione oculo-manuale, capacità cognitive, comunicazione, percezione.

Il profilo di sviluppo ottenuto sarà il punto di partenza per costruire il programma educativo, cioè per determinare i tipi di attività da proporre attraverso l’individuazione delle “emergenze”.

Le aree in cui si riscontra il maggior numero di emergenze sono da preferire nella scelta dei compiti da proporre.

3) un programma educativo individualizzato, che tenga conto non solo di questi elementi, ma anche delle priorità della famiglia e dell’ambiente di lavoro, in modo da affrontare innanzi tutto ciò che appare più urgente, e delle predisposizioni del bambino, in modo da aumentare la motivazione e rendere l’apprendimento più gradevole possibile.

 

STRATEGIE DI INTERVENTO

Abbiamo visto come lo scopo del programma educativo TEACCH sia di favorire lo sviluppo dell’individuo, la sua integrazione sociale e l’autonomia, tenendo conto dei deficit specifici che il disturbo autistico comporta.

Uno degli obiettivi essenziali è che nell’età adulta la persona autistica possa vivere con gli altri membri della società in un contesto meno segregante possibile, e di permettergli di gestire al meglio la propria vita quotidiana.

Prima di addentrarsi nello specifico delle strategie di intervento, è opportuno ricordare che l’approccio di tipo TEACCH, pur utilizzando tecniche comportamentali come il rinforzo, non è di tipo strettamente comportamentale: infatti, piuttosto che forzare il bambino a modificare il comportamento attraverso la ripetitività e il rinforzo positivo (o negativo), si preferisce modificare l’ambiente in modo che l’apprendimento sia reso più agevole.

Adattare l’ambiente alla persona, e presentargli progressivamente le difficoltà, significa rispettare la persona nella sua diversità : non dimentichiamo che le testimonianze di molte persone autistiche dotate della capacità di raccontare le proprie esperienze parlano di un mondo senza senso, di un “caos senza capo nè coda”.

 

LA STRUTTURAZIONE

In passato si pensava che i bambini autistici soffrissero per rifiuto di sentimenti e desideri, e si dava loro di conseguenza la possibilità di libera espressione in un quadro non strutturato sperando che potessero trovare una via per liberare le proprie potenzialità inibite.

Nulla di più sbagliato: l’esperienza di molti anni ci ha insegnato che in questo modo si produce l’effetto contrario, aumentando l’angoscia e i problemi comportamentali.

Si sa ora che la persona autistica, a causa del deficit di comunicazione e della “cecità

sociale” (come la definisce barhon -Cohen) alla base del disturbo autistico, ha bisogno di una strutturazione dell’ambiente per orientarsi e per rassicurarsi, e che l’ansia diminuisce quando sa esattamente che cosa ci si aspetta da lui in un certo momento e in un certo luogo, che cosa succederà in seguito, come, dove e con chi.

Del resto, come ci spiega Theo Peeters, chiunque di noi si recasse in un paese straniero, di cui non conosce la lingua, per tenere una conferenza, vorrebbe avere informazioni su dove la conferenza sarà organizzata, quando dovrà parlare e per quanto tempo, come dovrà esprimersi, e si aspetterà che il paese ospite abbia la cortesia di dargli queste notizie in modo comprensibile.

Un quadro temporo-spaziale molto strutturato, nel quale i punti di repere siano visibili e concreti, in altre parole comprensibile e prevedibile, costituisce il primo passo per poter impostare un lavoro educativo con il bambino autistico.

La strutturazione tuttavia non deve significare rigidità, ma deve essere flessibile, costruita in funzione dei bisogni e del livello di sviluppo del singolo bambino e soggetta a modifiche in ogni momento; nè deve essere fine a se stessa, ma rappresentare un mezzo per aiutare una persona in difficoltà a causa della propria impossibilità a comunicare.

La strutturazione infatti non ha lo scopo si creare un rituale, anzi, è una forma di comunicazione verso il bambino che dovrebbe proprio ottenere di liberarlo da quei rituali che gli danno sicurezza e prevedibilità.

 

Strutturazione dello spazio.

Strutturare lo spazio significa rispondere alla domanda “Dove?”.

L’ambiente di lavoro organizzato in spazi chiaramente e visivamente delimitati, ognuno con delle funzioni specifiche chiaramente visualizzate, consente al bambino di sapere con precisione ciò che ci si aspetta da lui in ogni luogo e in ogni momento.

Così, in una classe, ci sarà uno spazio di lavoro individuale, uno spazio di riposo, uno spazio di attività di gruppo e uno spazio dedicato al tempo libero, ognuno chiaramente delimitato e contrassegnato da opportuni simboli di identificazione.

L’angolo di lavoro per esempio è di solito organizzato con un banco affiancato da due scaffali disposti perpendicolarmente, su cui disporre il materiale di lavoro da eseguire (nello scaffale di sinistra) o riporre i compiti già eseguiti (a destra).

E’ importante che ogni spazio sia dedicato ad una singola attività: in questo modo sarà molto facile per il bambino orientarsi da solo e raggiungere presto una autonomia di movimento che sarà per lui molto gratificante.

 

Strutturazione del tempo

Strutturare il tempo significa rispondere alla domanda “Quando? Per quanto tempo?”

Il passare del tempo è una nozione difficile da apprendere, perchè si appoggia su dati non visibili.

Per questo è importante strutturare la giornata attraverso una organizzazione del tempo, che informi ad ogni momento il bambino su ciò che sta accadendo, ciò che è accaduto e che accadrà, aumentando in questo modo la prevedibilità e il controllo della situazione, e diminuendo l’incertezza fonte di ansia.

In pratica ogni bambino disporrà di una sua “agenda” giornaliera, costituita da una sequenza di oggetti, di immagini o di parole scritte, a seconda delle sue abilità, ordinati dall’alto verso il basso .

Al termine di ogni attività ogni relativo simbolo verrà spostato dal bambino in un altro apposito spazio che registra il tempo trascorso: in questo modo gli sarà possibile sapere in ogni momento quanto tempo è passato e quanto ne manca prima di tornare a casa.

 

Strutturazione del materiale di lavoro

Strutturare il materiale di lavoro significa rispondere in modo chiaro e concreto alla domanda “Che cosa?”

Oltre all’agenda giornaliera delle attività, il bambino disporrà di uno schema di lavoro posizionato presso il tavolo di lavoro, costituito ad esempio da lettere dell’alfabeto o numeri, ognuna delle quali è riportata su una scatola di lavoro.

Il lavoro da svolgere sarà presentato in modo chiaro: ogni compito è contenuto in una scatola sullo scaffale di sinistra, ogni scatola contrassegnata da un simbolo (lettera o numero), a seconda del livello di sviluppo e delle capacità del bambino).

Oppure, se per il bambino è ancora troppo difficile gestire uno schema di lavoro costituito da simboli, il numero delle scatole sullo scaffale di sinistra indicherà quanti sono i compiti da svolgere.

Ogni scatola di lavoro contiene le diverse componenti, che saranno a loro volta contrassegnate da un simbolo: ad esempio un colore, o una forma, presenti anche sul piano del banco, in modo che il bambino le possa disporre nell’ordine esatto ed eseguire il lavoro da solo.

E’ importante che, una volta disposto secondo le indicazioni visive, il compito sia “self explaining”, cioè comprensibile senza bisogno di spiegazioni: incastri , puzzle o lavori di montaggio sono esempi semplici di questo genere, ma con un po’ di fantasia qualunque compito può essere presentato in modo che si spieghi da sè.

Se per il bambino è ancora troppo difficile organizzarsi il lavoro attraverso l’accoppiamento di simboli, ogni scatola sarà suddivisa in scomparti contenenti le parti del lavoro da fare in modo che il compito sia comprensibile senza troppe spiegazioni verbali, che lo metterebbero in difficoltà.

Quando il compito è terminato verrà riposto nella relativa scatola sullo scaffale di destra, in modo che in ogni momento sia chiaro quanto lavoro è stato eseguito e quanto ne resta da eseguire.

Il lavoro viene eseguito da sinistra verso destra perchè questa è l’organizzazione tipica della cultura occidentale.

Naturalmente all’inizio in bambino dovrà essere aiutato dall’educatore, ma in questo modo si raggiunge ben presto l’autonomia; inoltre la possibilità di avere sempre informazioni chiare attraverso oggetti-simbolo, immagini o parole scritte aggira la difficoltà di comprensione del linquaggio parlato tipica della sindrome autistica, consentendo al bambino di concentrarsi unicamente sul compito da svolgere.

L’importante non è mirare presto al grado di comunicazione più difficile, ma raggiungere la capacità di utilizzare autonomamente il proprio codice di lavoro.

Quello che è importante sottolineare è che la struttura di tempo e spazio non è fine a sè stessa, nè un obiettivo da raggiungere, bensì uno strumento evolutivo, un mezzo per aiutare la persona autistica a raggiungere una migliore padronanza del proprio ambiente e della propria vita; come tale deve essere considerata come una impalcatura che sorregge un edificio in costruzione, e che viene tolta gradualmente man mano che la costruzione acquista stabilità; allo stesso modo la rigidità della strutturazione spazio-temporale va diminuita man mano che ci si rende conto che la persona può farne a meno.

 

IL RINFORZO

Il rinforzo risponde in modo chiaro e concreto alla domanda “Perchè?”

Infatti può essere difficile per il bambino all’inizio di un programma educativo comprendere per quale motivo deva eseguire dei compiti.

Anche il bambino “normale” incontra questa difficoltà, ma può essere motivato dalla volontà di accontentare la mamma o l’insegnante, di fare ” bella figura”.

Queste motivazioni possono inizialmente essere troppo astratte per il bambino autistico; sarà allora necessario dargli delle motivazioni concrete, strettamente collegate nel tempo all’esecuzione del compito.

Una ricompensa alimentare è il rinforzo più semplice; spesso tuttavia si può ben presto sostituire con il rinforzo sociale, costituito da lodi e complimenti.

E’ importante comunque individuare un rinforzo adatto alle preferenze del singolo bambino: sarà ovviamente controproducente abbracciare o accarezzare un bambino che presenti, come può succedere, difficoltà ad accettare la vicinanza fisica; o offrire un rinforzo alimentare a bambini che rifiutano il cibo.

Anche il permesso di dedicarsi ad una attività preferita, non importa se stereotipata, può costituire un rinforzo adeguato.

Spesso comunque la soddisfazione di riuscire da solo nel compito proposto è già di per sè un ottimo rinforzo.

 

L’AIUTO

L’aiuto risponde in modo chiaro e concreto alla domanda “come?”.

Se infatti non possiamo utilizzare efficacemente le istruzioni verbali per spiegare il compito, un aiuto fisico o visuale costituirà il modo più semplice per illustrare al bambino autistico come dovrà eseguire il suo compito.

Il grado maggiore di aiuto è costituito dall’aiuto fisico: l’educatore cioè accompagna con la sua la mano del bambino nell’esecuzione del compito.

In questo caso è importante che il gesto sia dosato in modo da comunicare un incoraggiamento e che abbia una valenza esplicativa che il bambino è perfettamente in grado di capire; non deve costituire una costrizione.

Un altro tipo di aiuto può essere di tipo visuale: è un aiuto di questo tipo indicare con il dito, o anche, ad esempio, spostare un oggetto dal posto sbagliato al posto giusto, o ancora una dimostrazione pratica di come eseguire il compito, purchè naturalmente da parte del bambino ci sia la necessaria attenzione.

Anche l’aiuto verbale naturalmente può essere utilizzato; in questo caso è utile usare parole semplici, essenziali e sempre uguali per una stessa spiegazione, evitando i sinonimi o un linguaggio troppo figurato.

Anche nel caso dell’aiuto è importante valutare la forma più efficace per ogni singolo caso

La rappresentazione del compito attraverso una serie di immagini che ne illustrano le varie tappe, disposte da destra a sinistra, costituisce il tipo di aiuto più conciliabile con l’autonomia di lavoro.

 

LA GENERALIZZAZIONE DEL COMPITO

Bisogna infine ricordare che il bambino autistico tende ad associare l’apprendimento con una data situazione o ad un ambiente, mentre ha difficoltà a generalizzare il suo comportamento.

Sarà quindi necessario sviluppare dei programmi di generalizzazione attiva delle acquisizioni : l’apprendimento in ambiente scolastico è solo l’inizio del programma educativo, perchè è altrettanto importante estendere le competenze acquisite all’ambiente familiare o in altre situazioni.

Naturalmente anche per questo è importante servirsi della collaborazione dei genitori:

nel caso dell’autismo i rapporti di collaborazione fra genitori e insegnanti non sono una questione di buona educazione, ma un requisito indispensabile del processo educativo.

La difficoltà di generalizzazione comporta anche la necessità di provvedere in anticipo a dotare il bambino delle competenze che gli serviranno da adulto per un inserimento lavorativo.

La continuità educativa e la coordinazione dei servizi per l’età infantile e per l’età adulta, sebbene appaiano estremamente difficili da realizzare concretamente, rappresentano dei requisiti fondamentali per un inserimento sociale e lavorativo efficace.

 

I PROBLEMI DI COMPORTAMENTO

Tutti noi presentiamo problemi di comportamento di tanto in tanto: può capitare a chiunque di perdere il controllo, di manifestare aggressività, di scaricare le proprie emozioni in modo incontrollato attraverso il pianto o il riso, o di scaricare la tensione attraverso tic nervosi o altri comportamenti inadeguati.

Per fortuna si tratta generalmente di episodi passeggeri, di cui siamo successivamente in grado di scusarci.

Quando una persona manifesta un comportamento diverso dal solito, comprendiamo che lo stress oltrepassa i suoi limiti : il comportamento è un indice di adattamento del soggetto al suo ambiente.

Sappiamo inomtre che il comportamento di qualunque persona è influenzato dai disturbi organici: dolore, fatica, ingestione di farmaci, fame, stanchezza possono contribuire a modificare il comportamento abituale.

Chi soffre di un disturbo organico cercherà probabilmente di alleviarlo con i propri mezzi o cercando aiuto (ad es. del medico).

 

Perché le persone autistiche presentano problemi di comportamento?

Le persone autistiche non sono evidentemente immuni da tutte le circostanze che possono influenzare il comportamento: sono sottoposte allo stress quotidiano come e più delle altre persone, e la affezioni organiche le colpiscono in maniera uguale, se non più grave, a causa di una sensibilità più acuta della nostra e della difficoltà di decifrare le proprie sensazioni.

E tuttavia non possono reagire nè cercare aiuto come noi, a causa dei problemi di comunicazione: non possono comunicare il proprio stato e non sanno che cosa ci si aspetta da loro, e questa incertezza aumenta lo stress.

Come spiega Schopler, problemi di comportamento della persona autistica non sono che la punta dell’iceberg sommerso delle sue difficoltà: un sistema di comunicazione insufficiente la conduce a esprimere le proprie necessità in una forma diversa dal linguaggio, attraverso atti distruttivi, aggressivi, autoaggressivi o inappropriati.

Anche una persona autistica dotata, con un vasto vocabolario, una pronuncia e una capacità sintattica corretta, può non essere in grado di capire le nostre aspettative nei suoi confronti, o quale messagio sia chiaro per noi: per interpretare un messaggio infatti è necessario comprendere non solo le parole o la frase, ma anche il suo contesto passato e presente.

 

Perché i problemi di comportamento sono così frequenti nelle persone autistiche?

I problemi di comportamento non fanno parte della ” personalità autistica”, nè sono un requisito fondamentale per la diagnosi di autismo.

Poiché le persone autistiche hanno molte difficoltà a comprendere il nostro mondo, e i nostri codici sociali sono per loro estranei e incomprensibili, le manifestazioni di comportamento inappropriate e problematiche possono costituire l’unica espressione possibile del loro disagio e delle loro difficoltà.

Quando la comunicazione è deficitaria, e alla necessità si aggiunge le stress dell’impossibilità di farsi capire, vengono facilmente superati i limiti della persona.

 

Come intervenire sui problemi di comportamento?

Come abbiamo visto, poichè nella persona autistica l’espressione dei bisogni passa attraverso i problemi di comportamento, sarebbe assurdo intervenire direttamente per modificarlo.

La strutturazione e la prevedibilità dell’ambiente e l’adeguatezza delle richieste, nonchè la chiarezza, la concretezza e la stabilità dei messaggi sono la prima condizione per evitare una situazione di stress permanente.

Sarà inoltre necessario potenziare la capacità di comunicazione e eventualmente utilizzare forme di comunicazione più adatte alla persona autistica, come le immagini o, in qualche caso, i gesti: la riduzione dei problemi di comportamento è il miglior test per capire se la persona è stata correttamente valutata e se il programma individuale è davvero adatto alle sue potenzialità e ai suoi bisogni.

Tuttavia, anche quando si sia provveduto ad adattare l’ambiente e a mettere in atto un programma individuale adeguato, e a instaurare una forma di comunicazione efficace, possono residuare comunque, come per tutti noi, occasioni di disagio o di malessere che si manifestano con problemi di comportamento.

Se desideriamo aiutare la persona autistica, tocca a noi decodificare i suoi messaggi: osservarne il comportamento nel contesto ce ne darà la chiave: analizzare e comprendere i problemi è il primo passo per individuare una strategia di intervento adeguata, che sarà sempre tesa a valorizzare la persona e a permetterle di superare le proprie difficoltà. Non esistono purtroppo ricette prefabbricate applicabili ad ogni problema: ogni situazione dovrà essere vagliata , non prima di aver provveduto ad adattare l’ambiente e lo stile comunicativo alla diversità della persona autistica.