I disturbi pervasivi dello sviluppo

0 Pubblicato da Lun, 25 Marzo 2013, 11:50

Tratto dal libro : il Punto su Psicofarmacologia nei disturbi psichiatrici dell’infanzia e dell’adolescenza. (edito da Scientific Press s.r.l. – Via A. La Marmora, 26 – Firenze – 1° Edizione, Luglio 1999).

I disturbi pervasivi dello sviluppo

GABRIELE MASI, MARA MARCHESCHI, PIETRO PFANNER

Divisione di Neuropsichialria infantile Università degli Studi – Pisa

IRCCS Stella Maris – Calambrone (PI)

Introduzione

I disturbi pervasivi dello sviluppo sono caratterizzati da una grave e generalizzata compromissione in diverse aree dello sviluppo: interazioni sociali, competenze comunicative, comportamenti, interessi ed attività. Il quadro clinico paradigmatico di questa categoria è rappresentato dall’autismo infantile. Lo studio di questi disturbi deriva dal lavoro pionieristico di Kanner che per primo descrisse 11 bambini caratterizzati da intensa chiusura relazionale, con apparente disinteresse o mancanza di consapevolezza della esistenza delle altre persone, incapacità di gioco immaginativo o simbolico, grave perturbazione della comunicazione verbale con ecolalia differita ed inversione pronominale, ansiosa necessità di mantenere del tutto inalterate le caratteristiche dell’ambiente, e comportamenti ripetitivi. Nella casistica di Kanner questi bambini funzionavano da ritardati pur dando l’impressione di una normale intelligenza. In quegli stessi anni Asperger descriveva bambini che avevano caratteristiche abbastanza simili a quelle di Kanner, con deficit nella relazione interpersonale e nella espressione delle emozioni ed anche nello sviluppo motorio, ma con abilità cognitive e linguistiche sostanzialmente intatte. In quell’epoca e nel corso degli anni successivi si creò una certa confusione tra i due quadri descritti (in particolare il disturbo autistico) ed altre gravi perturbazioni dello sviluppo che rientravano nell’ambito della psicosi o della schizofrenia. Appariva difficile inoltre collocare questi precoci e generalizzati disturbi dello sviluppo in rapporto al ritardo mentale che spesso si associava alle sindromni suddette. Negli anni 60, ma soprattutto negli anni 70, la ricerca sui disturbi autistici ha portato ad una più chiara definizione del quadro rispetto sia al ritardo mentale, sia ad altri disturbi psichiatrici ed in particolare alla schizofrenia).

Comunque ancora negli anni ‘80 era presente una discrepanza nei due più importanti sistemi nosografici internazionali. Mentre l’ICD-9 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità considerava l’autismo come un sottotipo di psicosi ad origine nell’infanzia, il DSM-III, III-R e IV, della Associazione Psichiatrica Americana, inserivano autismo e condizioni affini nell’ambito dei disturbi generalizzati dello sviluppo (Pervasive Developmental Disorders nella dizione originale); tale orientamento è stato adottato anche dal più recente ICD- 10, nel capitolo delle «Alterazioni globali dello sviluppo psicologico». Il disturbo autistico, considerato inizialmente una forma di disturbo psicotico dell’infanzia, è stato quindi successivamente differenziato dalla psicosi ed ha acquisito una autonomia nosogrifica nell’ambito dei cosiddetti «Disturbi Generalizzati dello Sviluppo». Con tale terminologia si intende definire un disturbo che coinvolge pressoché tutte le aree dello sviluppo, con alterazioni durature e relativamente stabili nelle abilità sociali e comunicative che vanno ben al di là di quanto atteso sulla base del ritardo di sviluppo.

Appare opportuno ricordare che il termine «Disturbi Generalizzati dello Sviluppo» rappresenta il modo in cui nella versione italiana è stato tradotto il concetto di «Pervasive Developmental Disorders» In realtà generalizzato e pervasivo (con le incertezze legate alla trasposizione linguistica) si riferiscono a due concetti diversi.

L’aggettivo «generalizzato», che corrisponde all’aggettivo «globale» dell’ICD-1O, vuole significare soltanto una compromissione delle diverse aree dello sviluppo, mentre l’aggettivo «pervasivo» si riferisce all’azione penetrante del disturbo, che tende ad invadere e sovvertire tutte le prestazioni. Noi riteniamo che il concetto di invasivo-pervasivo rappresenti meglio un percorso che non è solo caratterizzato dalla sua diffusione, ma appare invece come un sovvertimento di tutte le aree evolutive. Per questo motivo, riferendoci a questa categoria nosografica, adotteremo di seguito il termine di disturbo pervasivo dello sviluppo.

Le forme di psicosi ad insorgenza precoce (prima dei 12 anni); (very early onset schizophrenia, o VEOS) sono invece rientrate nel più ampio ambito dei disturbi psicotici, senza distinzione per l’età di insorgenza. Per questo motivo esse saranno trattate in modo specifico dal Prof. Pancheri.(n.d.c.su questo argomento vedere la finestra sulla Schizofrenia ad insorgenza precoce).

Nel DSM-III-R venivano inseriti nella categoria dei disturbi pervasivi dello sviluppo l’autismo e le forme non altrimenti specificate. Quest’ultima categoria aveva dunque assunto il significato di un contenitore aspecifico di quadri molto diversi tra loro. La ricerca successiva ha portato ad una scomposizione delle forme non altrimenti specificate, con individuazione di quadri più specifici. Tale formulazione è comunque da considerarsi ancora non definitiva in quanto, come vedremo, altri quadri clinici sono in fase di ulteriore definizione.

Le forme cliniche principali dei disturbi pervasivi dello sviluppo, secondo il DSM-IV, sono riportati nella tabella I.

TAB. I – Disturbi pervasivi dello sviluppo: forme cliniche secondo DSM-IV e ICD-10

A) Autismo infantile

B) Sindrome di Rett

C) Disturbo disintegrativo dell’infanzia

D) Sindrome di Asperger

E) Disturbi generalizzati dello sviluppo non altrimenti specificati (comprendenti l‘autismo atipico codificato dall’ICD-1O)

F) Sindrome iperattiva associata a ritardo mentale e movimenti stereotipati (ICD-10).

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Descriveremo con maggiore dettaglio le caratteristiche cliniche dell’autismo infantile. Le caratteristiche degli altri quadri clinici saranno delineate più brevemente in relazione all’autismo.

 

Autismo infantile

Secondo il DSM-IV è possibile far diagnosi di autismo in presenza di una compromissione nell’area della interazione sociale, o del linguaggio comunicativo, o nel gioco simbolico che è iniziata prima dei 3 anni. Tale quadro clinico non è attribuibile ad altri tipi di sindrome da alterazione globale dello sviluppo psicologico. I criteri diagnostici sono riportati nella tabella II.

 

 

TAB. Il – Criteri diagnostici per il disturbo autistico secondo il DSM-IV. Per la diagnosi di autismo sono necessari almeno sei dei sintomi descritti in (1), (2), (3), con almeno due sintomi da 1) e almeno un sintomo sia da (2) che da (3).

(1) Compromissione qualitativa dell’interazione sociale, evidente in almeno due dei seguenti aspetti:

a. incapacità di utilizzare adeguatamente lo sguardo, la gestualità, la mimica per regolare l’interazione sociale

b. incapacità di sviluppare rapporti con coetanei

e. mancanza di reciprocità socio-emozionale (assenza di modulazione del comportamento in accordo al contesto sociale)

d. mancanza della ricerca spontanea di condivisione di interessi con altre persone

(2) Compromissione qualitativa della comunicazione, evidente in almeno uno dei seguenti aspetti:

a. ritardo o totale mancanza dello sviluppo del linguaggio verbale, non accompagnato da tentativo di compenso gestuale

b. relativa incapacità di iniziare o sostenere una conversazione

c. uso ripetitivo e stereotipato del linguaggio o uso idiosincrasico di parole o frasi

d. assenza di gioco imitativo od inventivo

(3) Modelli di comportamento, interessi e attività limitati, ripetitivi e stereotipati evidenti in almeno uno dei seguenti aspetti:

a. preoccupazione pervasiva per uno o più interessi limitati e stereotipati che sono anomali nel contenuto e nell’obiettivo, o per l’intensità e la natura circoscritta

b. adesione apparentemente compulsiva a pratiche o rituali specifici e disfunzionali

c. manierismi motori stereotipati e ripetitivi che comprendono il battere o il torcere le mani o le dita, o movimenti complessi di tutto il corpo

d. preoccupazioni per le parti di oggetti o per elementi non funzionali dei materiali di gioco

Pur essendo il quadro clinico sostanzialmente stereotipato, è possibile una notevole variabilità interindividuale nella espressività della sindrome; inoltre il quadro può modificarsi nello stesso individuo nelle diverse fasi della vita (ad es. con comparsa di eccitazione comportamentale all‘ingresso dell’adolescenza), modificando quindi anche le finalità degli interventi terapeutici e riabilitativi.

La frequenza del disturbo è stata classicamente considerata di 3-5 per 10.000, ma probabilmente con i nuovi criteri diagnostici essa si aggira attualmente intorno a 1:1.000 8; la predominanza dei maschi sulle femmine è di 4:1. In circa il 75% dei bambini autistici è presente anche un ritardo mentale, che può essere di entità variabile. Sia nei soggetti ritardati che nei soggetti con normale intelligenza il profilo delle prestazioni è spesso molto disomogeneo, con aree di grande abilità (es. memoria, calcolo, competenze spaziali) ed aree profondamente compromesse. Il quadro clinico complessivo è fortemente condizionato dalla entità della compromissione cognitiva. Sono molto spesso associate alterazioni comportamentali eclatanti, come iperattività, auto e/o eteroaggressività, in particolare nelle condizioni più gravi. La regolazione degli affetti è molto primitiva, con intense ed acute crisi di angoscia apparentemente immotivate o attivate da stimoli ambientali eccessivi o da cambiamenti d’ambiente. L’umore è molto mutevole, con rapide ed imprevedibili oscillazioni dall’appiattimento ed apatia alla eccitazione. Sono infine molto frequenti alterazioni gravi e precoci della alimentazione e del sonno. Possono essere distinti nel gruppo dei bambini autistici quelli ad alto funzionamento («high functionings) e quelli nei quali è associato un ritardo mentale. I primi presentano familiarità per disturbi depressivi, specie di tipo bipolare, ma non disturbi neurologici, accanto ad un quoziente intellettivo normale e ad un linguaggio conservato. I secondi presentano, oltre ad un ridotto quoziente intellettivo, assenza o grave alterazione del linguaggio, frequenti disturbi neurologici, ma non familiarità per disturbi affettivi.

E da segnalare che il 25-30% di pazienti autistici presenta nel corso della vita crisi epilettiche; i periodi di più frequente insorgenza sono i primi anni di vita o l’ingresso in adolescenza 9.

La comorbilità tra autismo ed altre affezioni psichiatriche appare complessa, in quanto la sintomatologia autistica può effettuare una azione di mascheramento su un disturbo dell’umore, su un disturbo ossessivo-compulsivo o su un disturbo schizofrenico. Tali quadri vengono comunque descritti sempre più frequentemente in soggetti con disturbo pervasivo dello sviluppo.

L’autismo può essere primario, oppure può essere associato ad anomalie genetiche (ad es. la fenilchetonuria, la sclerosi tuberosa) o cromosomiche (es. X-fragile), ma anche ad affezioni non genetiche come malattie infettive (rosolia, citomegalovirus) o traumatismi che colpiscono precocemente il SNC.

La prognosi del disturbo autistico non è favorevole. Si ritiene che in età adulta i 2/3 dei soggetti non sia in grado di raggiungere una sufficiente autonomia, ma richiedano una qualche forma di frequente assistenza. Elementi predittivi per una positiva evoluzione sono la presenza di linguaggio comunicativo dopo i 5 anni e più elevate capacità cognitive. I soggetti con più elevato funzionamento possono progressivamente migliorare le loro competenze cognitive e comunicative, ma restano generalmente più evidenti le difficoltà nella interazione sociale.

 

Sindrome di Asperger

Descritta da Asperger 2 nel 1944, la sindrome è caratterizzata da compromissione della interazione sociale, dei comportamenti ed interessi analoga a quella dell’autismo, in assenza di compromissione cognitiva e linguistica o di disturbi del comportamento adattivo 10.

La compromissione qualitativa della interazione sociale prevede due tra i seguenti sintomi: incapacità di utilizzare adeguatamente lo sguardo, la gestualità, la mimica per regolare l’interazione sociale; incapacità di sviluppare rapporti con coetanei; mancanza di reciprocità socio-emozionale (assenza di modulazione del comportamento in accordo al contesto sociale); mancanza della ricerca spontanea di condivisione di interessi con altre persone.

La compromissione del comportamento può comprendere una preoccupazione pervasiva per uno o più interessi limitati e stereotipati, anormali nel contenuto e nell’obiettivo, o per la loro intensità e settorialità; oppure l’adesione apparentemente compulsiva a pratiche o rituali specifici e disfunzionali; oppure manierismi motori stereotipati e ripetitivi, localizzati (es. mani o dita), o generalizzati a tutto il corpo; o infine preoccupazioni per le parti di oggetti o per elementi non funzionali dei materiali di gioco. Tali criteri diagnostici sono stati recentemente criticati 11 tanto che la definizione clinica della sindrome resta ancora controversa.

Non c’è un ritardo del linguaggio, nè significativa compromissione cognitiva, ma il linguaggio è spesso non prosodico e stereotipato, scarsamente comunicativo e senza uso di metafore, ed il pensiero confuso o centrato su temi idiosincrasici; il comportamento adattivo (a parte le relazioni sociali) e la curiosità per l’ambiente sono spesso sufficientemente adeguati. Viene descritto spesso uno sviluppo motorio rallentato, con perdurante goffaggine e disprassia. Anche il profilo cognitivo evidenzia una discrepanza importante, con maggiore compromissione nelle prestazioni non verbali (la cosiddetta «sindrome non verbale»).

La prevalenza del disturbo non è certa, anche per le incertezze nella diagnosi; si registra una netta prevalenza del sesso maschili sul femminile (4-10:1). Il riconoscimento del quadro (e forse l’insorgenza) sono un pò più tardive che nell’autismo. E’ stata dibattuta la reale distinzione tra sindrome di Asperger ed autismo ad elevato funzionamento; sulla base dei dati attuali tale distinzione appare ancora accettabile 10,11.Disturbi associati con relativa frequenza sono il disturbo ossessivo-compulsivo la malattia di Gilles de la Tourette e soprattutto il disturbo depressivo 10.

Il disturbo conserva caratteristiche analoghe nel corso della vita. Questi soggetti possono avere un impiego, una famiglia, vivere in modo indipendente. Sotto questo aspetto la prognosi è migliore anche rispetto al disturbo autistico ad alto funzionamento. Restano comunque stabili le difficoltà nella relazione interpersonale; non rara nel tempo la comparsa di un disturbo schizotipico della personalità.

( n.d.c. Donna Williams che è diagnosticata Asperger, ne parla nella finestra a lei dedicata).

 

Sindrome di Rett

La sindrome di Rett, descritta nell’anno 1966 e riscontrata con certezza solo nelle femmine, con una incidenza di 1:10.000-15.000, è caratterizzata da periodo prenatale e perinatale apparentemente normale, compreso lo sviluppo psicomotorio e della circonferenza cranica nei primi cinque mesi. Tra il 5° ed il 48° mese si osserva un rallentamento della crescita della circonferenza cranica, la perdita delle capacità manuali acquisite, con comparsa di stereotipie manuali (tipo lavarsi le mani), e rapida regressione evolutiva. Tra i 4 ed i 10 anni si osserva una pseudostazionarietà. E presente un disinteresse per l’ambiente sociale, una concomitante disfunzione della comunicazione ed una compromissione delle capacità di interazione sociale, sintomi che peraltro tendono leggermente a migliorare dopo la seconda infanzia. Dopo i 10 anni si accentua il deterioramento motorio, sin dall’inizio caratterizzato da assenza di coordinazione della motricità del tronco ed un’andatura mal coordinata ed instabile. Il linguaggio espressivo e recettivo è gravemente compromesso.Un grave ritardo mentale, che persiste per tutta la vita, ed una epilessia frequente e spesso grave rappresentano, accanto al disturbo motorio, fattori di maggiore compromissione funzionale, anche in termini prognostici. Sono molto frequentemente associate anomalie del ciclo sonno-veglia, nonché crisi di apnea ed iperventilazione intermittenti. La durata media della vita è ridotta, anche per frequenti infezioni delle vie respiratorie o per cause cardiache. E inoltre maggiore che nella popolazione generale il rischio di morte improvvisa. Sono state descritte recentemente alcune forme di varianti Rett 12 ,la variante frusta, la convulsiva infantile, la congenita, la variante con regressione tardiva, ed infine la variante con linguaggio conservato.

Disturbo disintegrativo dell’infanzia

Questo disturbo raramente descritto (meno di 100 casi descritti in letteratura) è caratterizzato da uno sviluppo apparentemente normale almeno fino all’età di due anni: la diagnosi richiede la presenza, fin dall’età di due anni o più, di normali capacità nella comunicazione, nelle relazioni sociali, nel gioco e nell’adattamento all’ambiente.

Successivamente (tra i 2-4 anni ed i 10 anni) vi è una perdita importante delle capacità acquisite precedentemente all’insorgenza della sindrome nella espressione o comprensione del linguaggio, nel gioco, nelle abilità sociali e nell’adattamento all’ambiente, nel controllo sfinterico, nelle abilità motorie.

L’esordio può essere acuto (giorni o settimane) oppure lentamente progressivo (mesi). Il periodo di regressione è generalmente di 6-9 mesi, seguito successivamente da un plateau, e talora da un modesto recupero, in particolare nell’ambito del linguaggio espressivo. Solo raramente questo recupero è più marcato. Il funzionamento sociale, comunicativo e comportamentale è analogo a quello dell’autismo. Si osserva una generale perdita di interesse per gli oggetti e l’ambiente. Si associa di regola grave ritardo mentale, frequenti anomalie EEG e/o epilessia.

Tale forma corrisponde alle forme in precedenza descritte come sindrome di Heller, demenza infantile, psicosi disintegrativa.

 

Disturbi pervasivi dello sviluppo non altrimenti specificati (comprendente l’autismo atipico codificato dall’ lCD-1O)

In questi quadri rientrano quelle forme di disturbo generalizzato dello sviluppo che non possono essere inserite nel disturbo autistico perché in qualche modo atipiche. L’atipicità rispetto all’autismo si manifesta o in rapporto all’epoca di insorgenza (oltre i 3 anni), o in rapporto alla sintomatologia che non raggiunge la soglia prevista per l’autismo (vedi i criteri diagnostici riportati nella tabella II), o in rapporto ad entrambe, pur essendo presente una compromissione nelle aree della interazione sociale, o del linguaggio comunicativo, o del gioco simbolico. Possono essere inserite in questa categoria anche le forme di autismo residuo, oppure le forme con tratti autistici nel corso di malattie neurologiche, come ad esempio la sclerosi tuberosa. La prognosi di questo gruppo eterogeneo appare migliore rispetto a quella del disturbo autistìco.

In questa categoria sono state spesso inserite delle entità cliniche eterogenee che in epoca più recente la ricerca ha cercato di differenziare. E stata descritta in particolare una popolazione di bambini ed adolescenti con una alterazione nella modulazione degli affetti, alti livelli di ansia, relazioni interpersonali bizzarre o disturbate, scarse competenze sociali, transitori disturbi del pensiero 13,14 Nessuna diagnosi tra quelle previste dal DSM-IV riesce a cogliere le caratteristiche specifiche di questi bambini 15. Per la loro insorgenza relativamente precoce questi disturbi erano stati inizialmente inseriti nell’ambito dei disturbi pervasivi dello sviluppo non altrimenti specificati. Ulteriori studi hanno portato al tentativo di differenziare tale forma, che è stata provvisoriamente denominata Multiple Complex Developmental Disorder (MCDD) 15 Essa è evidente prima dei 5 anni, con deficit funzionali che portano ad uno stabile pattern di fluttuazione nella regolazione degli affetti (ansia, irritabilità, paure o fobie insolite e bizzarre, episodi ricorrenti di panico, transitoria disorganizzazione comportamentale), della relazione interpersonale (disinteresse sociale o alterazioni nella reciprocità, alti gradi di ambivalenza nei confronti delle figure di riferimento, con alternanza di comportamenti adesivi ed ipercontrollanti e comportamenti aggressivi), e del pensiero (intrusione di idee bizzarre, irrazionalità, pensiero magico, confusione tra realtà e fantasia, perplessità, deliri o fantasie bizzarre, preoccupazioni paranoidi). In condizioni di stress questi sintomi possono diventare molto più intensi, con oscillazioni che si differenziano nettamente dalla stabilità dei disturbi pervasivi dello sviluppo. Regressioni nel comportamento e nel funzionamento mentale possono durare per ore o giorni, alternate a fasi di migliore funzionamento (Tab. III).

E possibile comunque interpretare il MCDD come un disturbo dello sviluppo, piuttosto che come un disturbo episodico o acuto. Secondo Van der Gaag et al 16, nei 2/3 dei soggetti esaminati il quadro essenziale del MCDD persiste anche in età adulta, con passaggio verso disturbi della personalità di tipo schizoide o schizotipico. E stata segnalata inoltre nel 15% dei casi una evoluzione verso quadri francamente schizofrenici.

Non esistono dati circa interventi farmacologici specifici, anche se bassi dosaggi di neurolettici sembrano favorire un migliore controllo emotivo, sociale e del pensiero.

TAB. III – Criteri diagnostici per il MCDD

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I) Compromissione della regolazione affettiva e dell’ansia, espressa da almeno due dei seguenti sintomi:

a. intensa ansia, tensione o irritabilità

b. paure o fobie insolite e bizzarre per contenuto o intensità c. episodi ricorrenti di ansia acuta, panico o terrore

d. disorganizzazione o regressione comportamentale transitoria, ma intensa

e. ampia variabilità dello stato emotivo in assenza di fattori scatenanti ambientali

f. reazioni affettive idiosincratiche, con affettività fatua, risatine incongrue, ecc

(2) Compromissione del comportamento e nella sensibilità sociale, espressa da almeno uno dei seguenti sintomi:

a. disinteresse sociale, distacco, evitamento, ritiro

b. incapacità nell’intraprendere o mantenere relazioni con i coetanei

e. relazioni disturbate ed ambivalenti con gli adulti, con alternanza tra ipercontrollo ed aggressività

d. marcate limitazioni nella capacità di relazione empatica o nella comprensione degli stati affettivi altrui

(3) Compromissione delle funzioni cognitive (disturbo del pensiero), espressa da almeno uno dei seguenti sintomi:

a. disturbo del pensiero con irrazionalìtà, pensiero magico o disorganizzato, idee bizzarre, neologismi

b. confusione tra realtà e fantasia

c. perplessità, facile tendenza alla confusione

d. produzioni simil-deliranti, ad es. fantasie di onnipotenza, fantasie di poteri immaginari, preoccupazioni paranoidi, eccessivo coinvolgimento in personaggi di fantasia

(4) Deve essere esclusa la diagnosi di disturbo autistico

(5) I sintomi devono essere presenti da più di 6 mesi

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Sindrome iperattiva associata a ritardo mentale e movimenti stereotipati ( ICD-10 )

Si tratta di una sindrome di incerta validità nosografica, non riconosciuta dal DSM-IV. La grave iperattività motoria è espressa da irrequietezza motoria costante, anche in situazioni in cui è prevista una relativa immobilità; sono presenti cambiamenti di attività estremamente rapidi, tanto che le attività durano meno di un minuto.

I comportamenti stereotipati e ripetitivi si manifestano con manierismi motori di tutto il corpo o di una parte di questo, con ripetizione eccessiva e non funzionale di attività stereotipate, con frequenti condotte autolesive. Il QI è inferiore a 50. Per far diagnosi di questa sindrome è necessario che non siano soddisfatti i criteri diagnostici per l’autismo o per la sindrome di Rett.

In adolescenza l’intensa iperattività viene spesso sostituita dalla ipoattività, a differenza di quanto accade nei soggetti con normale intelligenza. Tali bambini non sono sensibili all’effetto di farmaci stimolanti, che anzi producono gravi reazioni disforiche.

 

Aspetti neurobiologici dei disturbi pervasivi dello sviluppo

La ricerca neurobiologica sull’autismo ha percorso diverse strade, che possono essere ricondotte a tre filoni fondamentali: quello degli studi genetici, quello degli studi morfologici (con TAC, RMN e PET) e quello degli studi biochimici.

Studi su famiglie, su gemelli mono e dizigoti hanno confermato che l’autismo è in ampia misura sotto controllo genetico 17. Il rischio di autismo in fratelli di soggetti affetti è almeno 50 volte superiore alla popolazione generale. Studi su geni candidati sono attualmente in corso sulla base delle evidenze neurochimiche, neuroendocrine e farmacologiche. Tali studi potrebbero dimostrare che almeno in un sottogruppo di bambini autistici il disturbo è sotto stretto controllo genetico.

Studi di neuroimaging si sono rivolti prevalentemente alla fossa cranica posteriore, dove sono state descritte anomalie a carico del cervelletto (specie del verme) e del tronco cerebrale (mesencefalo, ponte e bulbo), che però altri studi non hanno confermato. Tali discrepanze sono probabilmente da attribuirsi alla eterogeneità dei campioni studiati, oltre che alla loro frequente esiguità. Dati ulteriori verranno da più raffinate indagini sulla organizzazione neuronale, probabilmente alterata in fasi cruciali dello sviluppo precoce. Indagini volumetriche accurate potrebbero nei prossimi anni mettere in evidenza alterazioni strutturali in aree cruciali del SNC, dalla corteccia all’ippocampo al corpo calloso. Studi spettroscopici alla RMN su soggetti autistici 18 sembrano indicare una alterazione del metabolismo energetico cerebrale e dei fosfolipidi di membrana, che correla con la compromissione neuropsicologica e linguistica. Alcuni studi PET sono stati pubblicati su soggetti autistici, ma i risultati non sono univoci 19, sembrano indicare l’esistenza di una ridotta captazione di glucosio nei lobi frontali e parietali, indice di una ridotta associazione funzionale tra aree omologhe ditali lobi, base dei meccanismi di attenzione focalizzata 20.Uno studio SPECT su 5 bambini autistici ha mostrato una transitoria ipoperfusione frontale, che non era però più evidente a 6-7 anni 21; ciò potrebbe far ipotizzare una ritardata maturazione dei lobi frontali in bambini autistici. Anche in questo caso studi ulteriori, in grado di combinare l’indagine morfofunzionale con l’indagine elettrofisiologica (in particolare potenziali evocati uditivi, visivi e cognitivi) potrebbe portare ulteriori importanti contributi alla comprensione delle basi neurofisiologiche dell’autismo.

In questa sede ci soffermeremo maggiormente sugli studi neurochimici, per la loro maggiore rilevanza ai fini del trattamento psicofarmacologico 21-23•

I dati della letteratura sulle alterazioni neurotrasmettitoriali in soggetti autistici non appaiono ancora univoci; nessuno specifico sistema trasmettitoriale è risultato implicato in modo esclusivo nella genesi del disturbo autistico. Questo dato conferma l’ipotesi che sotto la dizione di autismo rientrano probabilmente disturbi non totalmente sovrapponibili sul piano clinico, neurobiologico e della risposta al trattamento farmacologico. I vari neurotrasmettitori sono stati studiati in particolare nel liquor, nel sangue, nelle urine, e sui recettori piastrinici. I dati di gran lunga più significativi riguardano la serotonina 24. Accresciuti livelli di serotonina sono stati riscontrati in 1/3 dei soggetti autistici con ritardo mentale. Possibili spiegazioni del fenomeno potrebbero essere una accresciuta captazione ed accumulo da parte delle piastrine, associate o meno ad un maggiore volume piastrinico; oppure una accresciuta sintesi; o infine un ridotto catabolismo. Alcuni dati tenderebbero ad escludere l’incremento della sintesi, così come la riduzione del catabolismo. Al contrario l’interesse per il ruolo delle piastrine nella iperserotoninemia degli autistici è andato accrescendosi in studi recenti. Diversi studi su plasma arricchito di piastrine hanno confermato che parenti di primo grado di probandi autistici con alti livelli di serotonina avevano loro stessi una iperserotoninemia ed un aumento dei recettori piastrinici della serotonina; questo non avveniva per gli autistici senza alti livelli di serotonina25-27 .Piven e collaboratori 28 hanno riscontrato che i tassi di serotonina nel plasma arricchito di piastrine sono risultati più elevati nei soggetti autistici con fratelli che presentavano a loro volta un disturbo generalizzato di sviluppo rispetto a soggetti autistici ma senza fratelli con disturbo generalizzato di sviluppo. Questi ultimi a loro volta presentavano livelli di serotonina superiori ai soggetti normali. Gli autori ipotizzano quindi che il livello aumentato di serotonina plasmatica negli autistici sia associato ad una suscettibilità genetica all’autismo. Nonostante l’interesse di questi dati, il ruolo ed il significato della serotonina negli autistici resta non chiaro. Alti livelli di serotoninemia sono stati riscontrati in una elevata percentuale di bambini con grave ritardo mentale senza autismo; la specificità del dato non sembra dunque essere dimostrata. Inoltre non sono state riscontrate differenze tra autistici e controlli normali nel tasso liquorale di acido 5-idrossi-indolacetico che è il principale metabolita della serotonina 29.

Sulla base di positivi effetti di neurolettici (che hanno una azione di blocco sui recettori dopaminergici) su alcuni sintomi autistici, sono state effettuate ricerche volte a studiare il metabolismo della dopamina in soggetti autistici. Studi più recenti 29 non hanno comunque riscontrato differenze tra autistici e controlli nei livelli liquorali di acido omovanillico, che è il principale metabolita della dopamina.

Studi sul sistema adrenergico-noradrenergico avrebbero evidenziato livelli ematici elevati di tali sostanze nei soggetti autistici, mentre nelle piastrine sia l’adrenalina che la noradrenalina erano inferiori negli autistici rispetto ai controlli . Studi sulla escrezione urinaria non hanno invece indicato differenze significative 31.

Un crescente interesse è stato attribuito agli studi sugli oppioidi. E’ esperienza clinica nota che i soggetti autistici hanno sia una soglia innalzata per il dolore, sia frequenti comportamenti autoaggressivi. Entrambe le caratteristiche sono state osservate sperimentalmente in animali nei quali era stata indotta una dipendenza da oppiati 32.Due studi riportano alti livelli di oppiati interni in autistici. Gillberg et al. 33 hanno riscontrato più alti livelli liquorali della frazione II di endorfine in autistici confrontati con controlli normali. Ross et al. 34 hanno riscontrato più alti livelli di beta-endorfine in autistici confrontati con controlli normali. Al contrario altri studi più recenti 35 riportano livelli inferiori di beta-endorfine nei soggetti autistici. Anche se hanno prodotto conseguenze sul piano farmacologico, con l’adozione di bloccanti specifici per i recettori degli oppiati interni, tali studi necessitano di verifiche ulteriori.

 

In sintesi allo stato attuale della ricerca va sottolineato come i dati siano ancora ben lungi dall’essere conclusivi. Si può affermare che i risultati più attendibili riguardano accresciuti livelli plasmatici di serotonina nei soggetti autistici. Ma è probabile che studi di tipo trasmettitoriale e recettoriale siano ancora piuttosto aspecifici e grossolani. Gran parte degli studi dovranno riguardare quello che accade a livello post-recettoriale, in particolare a livello del nucleo e del materiale genetico; in questo senso lo studio del meccanismo d’azione di farmaci efficaci potrebbe essere di aiuto, così come è avvenuto per altre patologie, quali i disturbi bipolari (vedi il capitolo di Zuddas). Un limite di questi studi è ancora legato al fatto che l’attuale semeiologia non è in grado di farci selezionare popolazioni di bambini autistici che siano sicuramente omogenee.

 

 

Intervento farmacologico ( riportato Integralmente su una delle Finestre nella Sezione “Terapia Farmacologica” ).

L’intervento terapeutico nei disturbi pervasivi dello sviluppo deve essere tipicamente intensivo, prolungato ed integrato, con associazione di interventi educativi, riabilitativi funzionali, psicologici, sociali, familiari; in questo intervento possono talora trovar posto, con indicazioni specifiche, i farmaci 36. I dati sull’uso di farmaci in queste patologie fanno prevalentemente riferimento a casistiche anglosassoni.

In una recente revisione su un’ampia casistica americana, Aman et al. 37 hanno riscontrato che il 22.1 % dei soggetti con diagnosi di autismo (ogni fascia di età) prende un farmaco, il 6.4% ne prende due, 11.7% ne prende tre e lo 0.4% ne prende quattro. I neurolettici sono i farmaci più usati (12.2%), seguiti dagli psicostimolanti (6.6%), dagli ansiolitici-ipnotici (6.3%), dagli antidepressivi (6.1%), dagli antipertensivi (4.4%) e dagli stabilizzatori del tono dell’umore (3.9%). Il 19% prende vitamine, ma solo il 5% assume composti vitaminici allo scopo specifico di agire sull’autismo (dimetilglicina, vitamina B6 con o senza magnesio) –

L’utilizzazione di questi farmaci è fortemente condizionata dall’età, tendendo ad aumentare con il passare degli anni (ritmo di incremento 3.2% ogni anno); inoltre i soggetti che vivono fuori della famiglia assumono psicofarmaci (in particolare neurolettici) con frequenza doppia rispetto a quelli che stanno in famiglia. Altro fattore che influenza la somministrazione di farmaci è l’entità del ritardo mentale associato: soggetti con ritardo mentale medio o grave assumono farmaci con una frequenza tripla rispetto a quelli senza ritardo mentale o con ritardo mentale lieve.

 

TAB. IV – Farmaci usati nei disturbi pervasivi dello sviluppo

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Neurolettici

— aloperidolo
— risperidone
— olanzapina
– pimozide
— tioridazina
— clorpromazina

SSRI – fluvoxamina
— fluoxetina
— paroxetina
— sertralina
— citalopram

Triciclici — clomipramina

Clonidina

Beta-Bloccanti

Naltrexone

Buspirone

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Conclusioni

Di fronte ad un bambino con diagnosi di disturbo pervasivo dello sviluppo il primo problema è quello di impostare un intervento terapeutico integrato che tenga conto delle complesse esigenze di questi bambini così difficili da comprendere e gestire. Un intervento psicoeducativo, riabilitativo e psicoterapico sul bambino, associato ad un intervento di sostegno e di indirizzo per la coppia dei genitori, dovrebbero rappresentare una esigenza comune per tutte le forme di disturbo pervasivo di sviluppo, ed in particolare per il disturbo autisttco. Tali necessità non si fermano alle prime fasi dello sviluppo, ma devono essere progressivamente adattate, con le opportune modifiche alle diverse fasi della vita, essendo questi disturbi tipicamente cronici.

Interventi educativi precoci sono stati validati nel corso di diverse ricerche, così come interventi che attraverso forme adattate di trattamento psicolinguistico hanno cercato di promuovere e facilitare i diversi canali comunicativi 77. Interventi psicoterapici hanno di volta in volta privilegiato una modulazione comportamentale, un incremento delle competenze sociali, oppure interventi più centrali sulla dimensione affettiva 36,78,79.L’efficacia di questi trattamenti, sia pure con le dovute differenziazioni, è sufficientemente dimostrata; è però vero che talora la gravità delle condizioni cliniche di questi bambini impedisce la realizzazione di questi interventi. In questi casi può essere opportuno un intervento psicofarmacologico. Quindi la psicofarmacologia non deve essere considerata in antitesi ad un intervento psicoeducativo o riabilitativo; al contrario deve essere uno strumento che rende tale intervento più efficace.

Perché ciò sia possibile è necessario che i bambini da sottoporre a terapia psicofarmacologica siano attentamente valutati, in modo da ottenere un favorevole bilancio costi/benefici. Quindi da un lato i sintomi bersaglio che la farmacoterapia si propone di ridurre devono essere ben evidenti e significativi, dall’altro il rischio di effetti collaterali deve essere ragionevole in rapporto ai vantaggi previsti. Tale rischio dipende ovviamente dal tipo di farmaci che si usano, e dalle modalità del loro uso. Bisogna inoltre ricordare che al momento di valutare l’effetto di una terapia farmacologica andrebbe considerato non solo l’effetto di riduzione dei sintomi bersaglio («efficacy»), ma anche l’impatto dell’intervento terapeutico sulla vita reale (effectiveness»).

Abbiamo detto che non si cura il disturbo autistico, ma i suoi sintomi più invalidanti. Un approccio eccessivamente centrato sui sintomi bersaglio, spesso compresenti nello stesso bambino, può rischiare peraltro di proporre un eccessivo bombardamento farmacologico. Un approccio che privilegi l’uso di farmaci a più ampio spettro come prima scelta terapeutica può più frequentemente ridurre il numero di interventi farmacologici. Farmaci con più ampio spettro d azione sono i neurolettici o gli SSRI. Un neurolettico può consentire un migliore controllo della eccitazione comportamentale della chiusura relazionale, della impulsività; in questo caso può essere usato il risperidone, che, a basse dosi e con lenti ritmi di incremento, sembra comportare, rispetto all’aloperidolo, minori rischi di effetti extrapiramidali e di discinesia tardiva. Un SSRI può controllare le manifestazioni ripetitive e compulsive, l’ansia, l’auto-eteroaggressività e talora la chiusura relazionale; il farmaco serotoninergico di prima scelta può essere la fluvoxamina, meno attivante di altri SSRI e con profilo di effetti collaterali più favorevole del triciclico domipramina. Nel caso che tali farmaci non risultino efficaci può essere opportuno passare ad una loro associazione (ricordando che tale associazione modifica il livello plasmatico di entrambe le categorie di farmaci), oppure ad altri farmaci con azione più indirizzata su Specifici sintomi (auto ed eteroaggressività, chiusura relazionale, ossessività ecc.), secondo le indicazioni date in precedenza (es. clonidina, naltrexone, propanololo, dlomipramina).

Ulteriori studi sono necessari per valutare gli effetti di terapie farmacologiche non limitate alle fasi acute. In attesa di dati in proposito appare necessario ridurre quanto possibile la durata del trattamento, o intercalare il trattamento con fasi libere da farmaci. E comunque ancora opportuno ricordare che una psicofarmacoterapia ha un senso soltanto nell’ambito di una globale presa in carico del bambino autistico e della sua famiglia, nelle diverse fasi della sua vita.

 

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