Volontariato e Buonismo

0 Pubblicato da Gio, 18 Aprile 2013, 10:09

Difficile in tempi di pura polemica accettare di fermarsi a pensare. Il cardinale Biffi, in questi giorni di inquietudine e dolore universale, ha riaperto un dibattito ricorrente: nel mondo cattolico e in quello del volontariato: il buonismo, quale errata e deviante motivazione, religiosa e sociale, a sostegno delle scelte e dei contenuti di fede e per esteso Odel perché e del come farsi carico della sofferenza degli altri. Il buonismo di cui si parla è il silenziatore delle coscienze; è il dilagare di una tolleranza senza limite, un po’ beota ed ignorante, che inevitabilmente conduce alla non discriminazione, alla condivisione passiva di qualsiasi proposta resa disponibile, sia essa in forma di ideologia oppure di pratica e costume. E’ il tipico impegno debole, il modo più accomodante di rispondere rapidamente all’emotività di superficie, al sentimentalismo anti-valutazione. E’ mancanza di fondamenti e prospettive utili o condivisibili; sentire emotivo che fa uso del bisogno altrui quale strumento della propria salvezza. Un’intima salvezza usa e getta, da consumare rapidamente, un passaporto da timbrare una tantum per dire anch’io ho fatto qualcosa, anch’io sono un giusto.
Il buonista è l’opportunista di questo secolo, volontariamente privo di giudizio, squisitamente cieco e tollerante, perpetuamente dedito al recupero del proprio vantaggio o accoglienza nel gruppo. Egli realizza ed improvvisa un saltuario, autogestito, personale, compenso al bisogno di umanità, alla necessità di sentirsi o riconfermarsi vicino a Dio e all’Uomo.
Nell’ambito del volontariato il buonismo² è ben rappresentato e l’accentuarsi di questa filosofia sdogana quotidianamente corbellerie, ruberie, attività e proposte demenziali, grandi ritardi e colpose concessioni all’ignoranza e all’errore. Recentemente la dr.ssa Delendati in un articolo sul mensile di Troina (Handicap-Risposte:Veri e Falsi Volontari pag.45 feb 2001) evidenziava come il malcostume di Onon discriminare riguardi anche molte associazioni coinvolte nel mondo dell’handicap, ricche di personaggi variegati ed intenti diversificati, ma in grado di portare danno grave a tutti noi.
Biffi aggiunge Ci siamo mossi per anni come gli evangelici ciechi, così ben dipinti da Bruegel, enfatizzando sino alla distruzione ciò che ci univa anziché avvalerci di ciò che ci fa differenti². La paura del non agire non giustifica la tolleranza di ogni proposta. Il motto abusato per giustificare lo scempio è: almeno facciamo qualcosa². Usare le associazioni per semplicemente fare qualcosa² S è oggi inaccettabile.
Ogni progetto dovrebbe poggiare anche su altre considerazioni: Che cosa stiamo per fare? E’ condiviso e accettato ciò che facciamo? Siamo sicuri che è giusto il percorso individuato? La proposta fatta è realmente utile? EccS Oggi sappiamo cosa fare, come farlo, chi può aiutarci a farlo. Non ci sono più alibi. Per nessuno. Forse per comprendere quanto detto è bene spiegare cosa si dovrebbe intendere per metodo abilitativo globale² nel suo più attuale significato: E’ quel metodo (attualmente di tipo psicocomportamentale ­da solo o integrato con altri-) che contiene in sé gli strumenti di valutazione, gli obiettivi, i singoli approcci e le procedure di intervento, utili ad abilitare o correggere Ogni aspetto patologico caratterizzante la sindrome del paziente con autismo.
Crediamo infatti che si debbano oggi fornire tutte le competenze essenziali e possibili, in forma di abilità spendibili, fruibili, funzionali ovvero finalizzate alla situazione che si sta vivendo, in una logica di recupero armonioso anche se, nel suo progredire, questo intervento dovesse comportare ritardo generale o voluta stazionarietà di singole abilità. (è preferibile un paziente che usa propriamente cinquanta parole anziché uno scrittore sganciato dal genere umano). Se è vero quanto detto non possiamo più tollerare negli infiniti elenchi dei metodi di ri-abilitazione, proposte limitate, parziali, come la delfinoterapia, l’ippoteria, eccSQuesti interventi possono essere utilizzati per attivare la capacità attentiva o per la ricreazione dei nostri figli e di noi genitori, ma non significheranno mai terapia² nel senso vero e nobile del termine. Se le condizioni ambientali poi consentono tali pratiche non significa che queste debbano necessariamente essere proposte, né che si riveleranno utili. I metodi globali di ri-abilitazione sono fortunatamente pochi, bene conosciuti, necessari e tutti utili.
Faccio ora un ulteriore esempio dell’opportunità distinguere. Se nella sede di SS si organizza e si promuove, quale unica proposta abilitativa, una delle tante tecniche aumentative del linguaggio (Comunicazione Facilitata, per esempio), con relative spese, impegni economici e strutturali, energie di operatori e dell’associazione tutta, pur consapevoli che quanto proposto non è un metodo riabilitativo globale ma solo un momento tra i possibili interventi, consapevolmente gonfiando a dismisura le specifiche indicazioni e vendendolo come terapia², si compie un atto profondamente scorretto. Perché?. Rispondo senza buonismo². Perché così facendo non offriamo una opportunità corretta ai fruitori. Perché i genitori, di fatto alleviati dall’intervento proposto, potrebbero avvalersene, trascurando poi le giuste metodologie abilitative Sper ignoranza, perché unica realtà percorribile, per mancanza di proposte alternative, per ridotti tempi a disposizione o per altre ragioni ancora (ragioni comunque senza ragione). Perché togliere ad un paziente corrette opportunità e tempi di recupero è atto irreversibile. Perché i soldi e le energie spesi per offrire una metodica parziale potrebbero essere spesi meglio in proposte ed operatori più leali, competenti e utili Perché una associazione di genitori non dovrebbe ignorare ciò che serve, né fare del male ai propri iscritti o figli, né farsi carico di proposte  particolarissime ed esclusive specie se notevolmente criticate o non comunemente condivise. Perché il genitore che si rivolge alle nostre associazioni ha diritto ad una informazione corretta e a proposte adeguate a questo presupposto. Perché è il territorio che deve offrire vera terapia e non l’associazione. Perché è tempo che ci si liberi degli esperti non esperti, dagli operatori interessati al loro 740, da quelli che non si mettono in discussione, da quelli che cambiano vestito ma non idee, da coloro che non lavorano ma fanno lavorare, da quelli che ci comprano con le rassicurazioni e i sorrisi, da quelli che sono tutti  ad alta funzionalità², da quelli che bisogna avere polso², ecc.
Vi servono altre ragioni?
Si sappia comunque che lo scandalo maggiore non sta nella ottusità dell’associazione che percorre simili scelte ma nella convinzione di impunità che protegge l’esperto e propugnatore di quella unica metodica parziale, così bene appresa dai suoi aiutanti, indifferente alle precise indicazioni che essa possiede, sordo a quanto centinaia di specialisti dicono da anni, assai poco preoccupato perciò al reale bene dei nostri figli.

Genitori in Prima Linea Tiziano Gabrielli