Handicap e Congedi di Anzianità

0 Pubblicato da Lun, 15 Aprile 2013, 09:26

Ritenendo molto grave quello che leggiamo, Volentieri pubblichiamo nel Sito.

Dopo le mie prime riflessioni critiche inviate il giorno 08/10/2000 all’Ufficio Legislativo e all’Ufficio II del Ministero degli Affari Sociali, mi permetto di ritornare sull’argomento delle modifiche che la Legge Finanziaria per l’anno 2001, con l’art.50, comma 2, ha previsto, introducendo il comma 4-bis, nell’art.4 (congedi per eventi e cause particolari) della Legge 8 marzo 2000 n.53.

Vorrei inquadrare la fattispecie nel contesto più ampio del sistema dei congedi per cause particolari (fortemente innovativo) istituito dall’art.4, comma 2, della Legge n.53/2000 – in base al quale il lavoratore può chiedere per gravi e documentati motivi familiari un periodo di congedo non retribuito – definito di recente con l’entrata in vigore (11/10/2000) del “Regolamento recante disposizioni di attuazione dell’articolo 4 della Legge 8 marzo 2000, n.53, concernente congedi per eventi e cause particolari”.

Il Regolamento che disciplina questi motivi (Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri 21 luglio 2000 n.278) elenca in dettaglio all’art.2 i soggetti beneficiari (tra i quali lo stesso lavoratore) e …i “portatori di handicap” (anche non grave quindi) ed individua contestualmente i “gravi motivi” al comma 1, come dettagliati alle lettere da a) a d), con l’ulteriore specificazione delle patologie giustificative – punti da 1) a 4) della lettera d) – che possono interessare i soggetti sopra individuati (ad esclusione del lavoratore) anche, ovviamente non portatori di handicap più o meno grave.

Al punto 4), si nota una particolare attenzione proprio nei confronti delle patologie dell’infanzia e dell’età evolutiva, tanto più devastanti per la vita di una famiglia per la tenera o giovane età dei soggetti colpiti.

Il Legislatore vuole essere sicuro della sussistenza proprio di queste “patologie” e, con l’art.3, comma 1, del Decreto n.278/2000, pone a carico del lavoratore l’onere delladocumentazione sanitaria, rilasciata da medico specialista del SSN o convenzionato o del pediatra di base o della struttura sanitaria nei casi di ricovero e/o intervento, documentazione da presentarsi contestualmente alla domanda di congedo” in relazione alle “patologie” di cui ai punti da 1) a 4) della lettera d), comma 1 dell’art.2.

Per le altre lettere a), b) e c) dell’art.2, comma 1 – altre categorie di “gravi motivi” – è sostanzialmente ammessa l’autocertificazione estendendo la possibilità di congedo non retribuito anche alle “situazioni di grave disagio personale”.

Nel sistema così strutturato il lavoratore ha la possibilità di chiedere il congedo e non un diritto di ottenerlo poiché sono considerate le opposte esigenze del datore di lavoro ed è prevista dal Regolamento una disciplina procedurale di dettaglio.

Con la Legge Finanziaria 2001 attualmente all’esame del Parlamento, nell’ampia platea dei lavoratori potenzialmente candidati alla fruizione dei congedi per cause particolari, di natura non retribuiti e senza contribuzione, viene individuata una specifica (e ovviamente numericamente più limitata) categoria alla quale il Governo vuole riservare, a partire dal 1° gennaio 2001, una particolare considerazione, intervenendo non solo dal punto di vista normativo, ma anche economico: trattasi, in via alternativa tra loro, dei genitori-lavoratori di soggetti (minorenni o maggiorenni) con handicap in situazione di gravità di cui all’art.3, comma 3 della Legge 5 febbraio 1992 n.104, handicap che sia stato accertato ai sensi dell’art. 4, comma 1 della Legge medesima.

La categoria viene individuata in tal modo con precisione poiché fa fede, per attestare la condizione del figlio, il verbale di visita collegiale della Commissione medica della ASL competente.

A questi genitori viene attribuito, mi sembra, un vero e proprio diritto soggettivo a fruire del congedo entro 60 giorni dalla richiesta fatta al datore di lavoro senza, mi sembra intendere, che il datore di lavoro possa opporvi le proprie esigenze quali che siano, come nel caso diniego motivato nell’ambito della procedura in contraddittorio stabilita dal Regolamento n.278/2000 all’art.2, comma 4, non richiamato, oppure dai contratti collettivi.
Prevale ovviamente la considerazione che tali richieste di congedo retribuito siano degne di maggior favore da parte della legge dovendosi intendere il genitore motivato alla richiesta a causa della condizione del figlio, portatore di handicap in forma di gravità.

Come ho potuto purtroppo verificare in prima persona, poiché mia figlia Francesca di 8 anni ha un handicap grave che si è manifestato all’età di un anno, intendo precisare che qualsiasi forma di assistenza ad un figlio portatore di handicap grave giustificherebbe, a mio avviso, l’attribuzione da parte dello Stato di un sostegno economico di questa portata.

Per contro, atteso che motivazioni inerenti la copertura finanziaria dell’istituendo “congedo retribuito” – copertura finanziaria non raggiungibile nel caso di una sua estensione a tutti i genitori-lavoratori di figli con handicap grave – hanno indotto il Governo a introdurre, per la fruizione di questo congedo, un limite temporale di cinque anni di “franchigia”, mi permetto di osservare che lo stesso scopo si potrebbe raggiungere in altro modo e con maggiori garanzie per la rilevanza delle singole situazioni da prendere in considerazione.

Il primo punto da rilevare è, a mio modesto parere, che nella norma contenuta nel comma 4-bis, che la Finanziaria 2001 vuole introdurre, sembrano scomparse le linee guida del sistema e cioè che deve trattarsi non solo di “gravi motivi familiari” ma anche di “congedi per eventi e cause particolari”.

A mio avviso la situazione di gravità dell’handicap del soggetto ex art.3, comma 3, della Legge n.104/92, pur degna di ogni considerazione in linea generale, non è, da sola sufficiente, nella fattispecie, a qualificare un congedo assistito con questo impegno di risorse economiche da parte dello Stato e non può quindi sollevare il richiedente – genitore-lavoratore – dall’obbligo di motivare adeguatamente la sua domanda di congedo retribuito in conformità a quanto il sistema generale dei congedi per cause ed eventi particolari prevede nel Regolamento n.278/2000 all’art.2, comma 1, lettera d).

Infatti, il Governo interviene a sostenere il lavoratore e la sua famiglia e quindi, indirettamente, il suo figliolo, dal punto di vista economico con un notevole impegno economico di Bilancio nei termini di stabilire un diritto (questo pure soggettivo) del lavoratore madre o, in alternativa, padre, alla percezione, in costanza di congedo, dell’ultima retribuzione percepita e della corrispondente contribuzione figurativa nel limite complessivo di 70 milioni annui per un periodo massimo di due anni.

Risiede qui la grande differenza di trattamento rispetto ai congedi non retribuiti oggi vigenti di cui al comma 2 dell’art. 4 della Legge n.53/2000.

In sostanza si intende istituire una sorta di “congedo qualificato“, alla cui richiesta non è opponibile un diniego, pur motivato del datore di lavoro, il cui costo economico viene trasferito dalle spalle del lavoratore e della sua famiglia a carico dello Stato.

Per nessun altro intervento nel settore assistenziale (assegno di accompagnamento, pensione di invalidità ed altri) mi sembra che lo Stato si accolli un così ingente onere economico per una singola famiglia, 70 milioni annui, raddoppiabili per un ulteriore anno.

In questi termini la norma in questione ha certamente un’importanza strategica per tutte quelle famiglie che hanno un figlio portatore di handicap grave e che siano costrette a chiedere un congedo per “gravi motivi” legati alla salute ed alla condizione del figlio; ma, a maggior ragione, tale congedo deve essere sempre motivato e qualificato da una delle cause particolari di cui alla lettera d) del comma 1 dell’art.2 del Decreto n.278/2000 e non così genericamente concesso.

Questo collegamento tra le due norme (istituendo comma 4-bis, art. 4 Legge n.53/2000 e la casistica di cui alla lettera d), comma 1, art. 2 del Regolamento di cui al Decreto n.278/2000) garantirebbe la selezione, la “qualificazione” effettiva delle richieste di congedo in base all’importanza, alla gravità ed alla sussistenza di una doppia motivazione, realizzando quella limitazione dell’impegno di Bilancio che si vuole conseguire in altro opinabile modo, come di seguito si vedrà.

La prima motivazione del congedo è già acclarata nel verbale di visita collegiale dell’ASL, che attesta la gravità dell’handicap, la seconda, da documentarsi contestualmente alla domanda di congedo, dalla presenza di una o più delle patologie di cui alla surrichiamata lettera d) collegabile all’esigenza impellente e/o continuativa di praticare una cura e/o una forma di assistenza diretta del figlio disabile e colpito dalla patologia (programma terapeutico o riabilitativo).

In sostanza il congedo, così economicamente protetto, deve essere sostenuto da una specifica e documentata motivazione di cura e di assistenza del genitore al figlio e non, per così dire, genericamente supportato dalla mera esistenza di una situazione di handicap, pur in forma di gravità, il che, purtroppo, potrebbe dare luogo a una certa percentuale di abusi e di distorto utilizzo di ingenti risorse economiche messe a disposizione dallo Stato.

Invero, se mantenuta nella sua formulazione attuale, la norma della Finanziaria 2001 darebbe luogo ad un intervento economico dalle inique caratteristiche “a pioggia” che vedrebbe sostenuti economicamente dallo Stato (e con quale impegno economico) anche quei nuclei familiari nei quali c’è un figlio in una situazione pur grave di handicap, ma con caratteristiche di stabilità o per il quale non vi sono all’attualità, purtroppo, prospettive di cura, né necessità impellenti di quella assistenza continuativa che, con documentati programmi terapeutici e riabilitativi, impegni totalmente il genitore-lavoratore tanto da giustificare una sua astensione “retribuita” dal lavoro per un così lungo periodo.

Purtroppo, l’art.50, comma 2°, della Legge Finanziaria 2001 (disegno di legge) va oltre, discriminando, per i summenzionati motivi di Bilancio, decine di migliaia di famiglie, tra le quali la mia, che si trovino nella grave necessità di prestare immediatamente maggiori cure ed assistenza ai propri figli portatori di handicap grave.

Nella sua formulazione esso, infatti, stabilisce che:
“dopo il comma 4 dell’articolo 4 della legge 8 marzo 2000 n.53, è aggiunto, in fine, il seguente comma: “4-bis. La lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre di soggetto con handicap in situazione di gravità…..omissis….., che abbia fruito per almeno cinque anni dei benefici di cui all’articolo 33, commi 1, 2 e 3, della suddetta legge per l’assistenza al figlio, ha diritto a fruire del congedo di cui al comma 2 del presente articolo entro 60 giorni dalla richiesta. Durante….omissis …..”.

E’ possibile, mi chiedo, che debba essere fatta una discriminazione di tale portata e gravità (e si capisce bene solo per istituire una sorta di franchigia temporale per far risparmiare soldi al Bilancio statale) tra chi, con figli in situazioni identiche di handicap grave, abbia fruito dei cosiddetti “benefici” ex art. 33 della Legge n.104/92 per più di 5 anni e chi lo ha fatto per un periodo inferiore a 5 anni – oppure in maniera discontinua non raggiungendo i 5 anni in un arco temporale superiore – e ancora chi, pur avendo avuto per il figlio il riconoscimento ex art.3 della Legge n.104/92, per motivi tra i più vari, non si sia avvalso dei “benefici” dell’art.33, ma abbia utilizzato per altri scopi la legge n.104/92 o, al limite, non la abbia utilizzata affatto, acquisendo la sola attestazione dell’handicap grave del figlio?

Tutti questi genitori-lavoratori – moltissimi ritengo – sarebbero oggi esclusi, sulla base di un criterio solo temporale, da un diritto alla retribuzione nella situazione di dover prestare cure ed assistenza diretta al figlio affetto da gravi patologie in atto o bisognoso di un’assistenza più intensa da parte del genitore-lavoratore per un programma terapeutico e/o riabilitativo.

In tal modo, sulla base di un criterio privo di ogni senso di logica giuridica sulla parità di trattamento di situazioni identiche, si toglie a tante famiglie l’unica possibilità – l’estrema in tanti casi – di un sostegno economico tangibile da parte dello Stato in situazioni tanto varie e tanto gravi che non è difficile immaginare una vasta casistica di genitori al limite della disperazione che si trovano a sacrificare se stessi e la propria salute, gli altri figli, il lavoro, il patrimonio familiare, quando esiste, per sostenere, curare ed assistere il figlio con handicap.

E’ mai concepibile che in un Paese civile siano esclusi dall’accesso al congedo retribuito per la cura e l’assistenza dei figli con handicap grave tutti i genitori di bambini con handicap di età inferiore a cinque-sei anni? E poi si parla di tutela dell’infanzia! Se queste sono le risposte!

Per questi motivi è urgente che il Governo, oppure il Parlamento, modifichino tale comma, poiché irrazionale, discriminatorio e venato d’incostituzionalità poiché, in tal modo, si trattano diversamente situazioni personali identiche.

1) Non si riconosce, infatti “pari dignità sociale” ed uguaglianza davanti alla legge “senza distinzione……di condizioni personali e sociali” (art.3 della Costituzione) per quei portatori di handicap che si trovano in identica situazione di gravità e per i loro genitori che non sono posti nelle medesime condizioni economiche stabilendo questo artificioso sbarramento dei cinque anni di “anzianità dell’handicap“;
2) Si viola l’art.31, comma 1, della Costituzione perché non si “agevola con misure economiche ed altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi” tra i quali rientra certamente quello di assistere con “programmi terapeutici e riabilitativi” il figlio portatore di handicap grave, negando il congedo retribuito al genitore non abbia questa “anzianità certificata” di 5 anni di fruizione dell’art.33, commi 1, 2 e 3 della Legge n.104/92;
3) Inoltre, e soprattutto, non si “protegge ……..l’infanzia….. favorendo gli istituti necessari a tale scopo” (art. 31, comma 2, Cost.) poiché la maggior parte dei lavoratori esclusi dal congedo retribuito per effetto della franchigia di cinque anni, sarebbero quelli con bambini in tenera età, portatori di handicap grave.
4) Infine si viola il dovere di tutelare “la salute come fondamentale diritto dell’individuo” (art.32, Cost.), in danno di migliaia di portatori di handicap grave iscrivendo, per legge, i loro genitori ad una categoria di serie B in quanto non si sono, o non si sono potuti, iscrivere per tempo all’elenco dei fruitori dell’art.33 della Legge n.104/92.

Deve pertanto, a mio modesto avviso, eliminarsi del tutto quest’ingiustificata limitazione con la cancellazione dell’inciso a partire dalle parole “che abbia fruito” fino a “per l’assistenza del figlio”. 

Il criterio dovrebbe essere quello della sussistenza certificata di una situazione di handicap in forma di gravità, ex art. 3 della Legge n.104/92, coniugata ad una qualificata e documentata motivazione della domanda di congedo retribuito come sopra illustrata, senza la richiesta di una sorta di iniqua ed assurda “anzianità di handicap” che getterebbe una velo di “vergogna” sull’ordinamento legislativo italiano

Basti pensare concretamente alle gravi discriminazioni che la norma, se approvata nell’attuale versione, creerebbe in quanto si adotta un criterio di anzianità (i cinque anni richiesti), proprio di un meccanismo di carattere “pensionistico”, in una materia delicata come quella della cura e dell’assistenza dei figli con handicap grave.

Se proprio si vogliono favorire dei pensionamenti anticipati, invece di utilizzare il congedo retribuito, perché non si approva un disegno di legge che equipari i genitori-lavoratori di figli con handicap grave ai lavoratori impegnati in attività usuranti?

Ma non si pensa che le reali speranze di cura e riabilitazione di mia figlia Francesca di 8 anni, come di tanti altri bambini e neonati sono concentrate nei pochi anni dell’infanzia e già con l’adolescenza svaniscono o si riducono di molto? 

Non si considera che, diagnosticata la malattia che origina l’handicap nei bambini, un intervento precoce, immediato è l’unico che può dare un risultato tangibile sulla via del recupero e che quindi nei primi anni di vita di un figlio va sostenuto a maggior ragione l’impegno di una famiglia già così duramente colpita dall’handicap?

E cosa dire di forme acute di handicap insorte fin dalla nascita oppure in tenera età a causa di traumi, incidenti, febbri, vaccinazioni, dipendenza dalla droga dei genitori, sieropositività da AIDS, farmaci, frequenti crisi epilettiche con associato ritardo mentale e gravi turbe del comportamento (come nel caso di mia figlia Francesca), tutte situazioni che necessitano di assistenza continua, interventi immediati e cure prolungate nel tempo e che sconvolgono la vita di un’intera famiglia, rendendo tutti i suoi componenti “portatori di un handicap” anche se riflesso, poiché, come nella mia personale situazione, oltre che i genitori sono coinvolti anche i fratelli? 

Ecco, lo Stato oltre a non fornire strutture mediche e sociali adeguate e di sostegno alla famiglia (come da sette anni ho constatato sulla pelle di mia figlia Francesca in quanto costretto, da ultimo, a rivolgermi a strutture sanitarie negli U.S.A.), formula una legge a scartamento ridotto che interviene a sostenere economicamente solo quelle famiglie che hanno unaanzianità di handicap certificata, e che gli altri genitori facciano pure da soli, se hanno i soldi sia per curare i figli handicappati gravi che per vivere senza stipendio!!!

Le mie osservazioni, ritengo, non sono valide solo nel caso di bambini ed adolescenti con gravi handicap ma anche, per conoscenza diretta, per quei genitori con figli disabili già adulti, che per scarsità di mezzi culturali, di mezzi economici, di informazione, non abbiano richiesto ed ottenuto la dichiarazione di cui all’art.3 ed usufruito dell’art.33 della Legge n.104/92 da oltre 5 anni. 

In qualsiasi momento della vita di un figlio portatore di handicap grave – alla cui base c’è quasi sempre una sindrome” e cioè un quadro molto complesso di sintomi e correlate disabilità, può insorgere una necessità di cure mediche che coinvolgono l’impegno di un’intera famiglia, di terapie riabilitative che necessitano di un’assistenza continuativa.

Inoltre, in qualsiasi momento della sua vita e per i più vari motivi (dagli incidenti d’auto ai tumori, agli ictus, a malattie genetiche, ecc.) un figlio sano ed autonomo può divenire un figlio portatore di handicap in forma di gravità. E’ concepibile che anche in questi casi si debba attendere la maturazione di cinque anni di anzianità dell’handicap per poter prestare al figlio cure ed assistenza utilizzando il sostegno economico dello Stato a favore dei genitori-lavoratori?

L’handicap è materia così delicata da far ritenere che ogni situazione debba essere considerata sempre singolarmente e abbisognevole di valutazione individuale allorquando le risorse economiche del Bilancio statale non siano sufficienti ad eliminare ogni limitazione di intervento.

A mio avviso, non è parimenti opportuno il ricorso all’art.33 della Legge n.104/92, in quanto si pongono sullo stesso piano le necessità che dovrebbero motivare una richiesta di congedo per un lungo periodo, con quelle soddisfatte dall’istituto dall’assistenza prestata dal genitore-lavoratore per 3 giorni mensili al proprio figlio, il quale, per i restanti 27 giorni del mese, deve essere necessariamente seguito dall’altro genitore o da altre persone.
Infine, ma non da ultimo, il Governo dovrebbe valutare la possibilità che una siffatta norma, se approvata nel testo presentato, possa essere, come mi sembra evidente, posta al vaglio della Corte Costituzionale per illegittimità in relazione agli art. 1, 31 e 32 della Costituzione e che, quindi, la franchigia dei cinque anni possa essere eliminata con sentenza.

A quel punto come si raggiungerebbe la copertura finanziaria? 

Sarebbe comunque necessario un intervento correttivo da parte del Legislatore, ma, nel frattempo, tante famiglie e tanti figli in gravi situazioni di handicap non avrebbero comunque avuto da parte dello Stato l’aiuto economico necessario al momento del bisogno.

Concludo questa mia esposizione critica alla norma, come oggi presentata dal Governo in Parlamento, proponendo quindi che lo stesso Governo possa emendarla e che si adotti, per l’ammissibilità delle domande di congedo retribuito, un meccanismo di valutazione già esistente che consenta, inoltre, di conseguire il necessario controllo della spesa in Bilancio.

Le stesse Commissioni mediche, già previste dall’art.4 della Legge 5 febbraio 1992 n.104 per la valutazione dell’handicap, dovrebbero vagliare le richieste di congedo retribuitoconcludendo – attesa l’importanza delle motivazioni di cura ed assistenza che una richiesta di congedo di questo tipo sottende – l’intero iter istruttorio entro 60 giorni dalla data di presentazione della domanda, da indirizzarsi alla ASL competente completa di certificazioni mediche, oltre che, per conoscenza, al datore di lavoro.

Laddove la Commissione Medica della ASL o quella Provinciale del Ministero del Tesoro non diano una risposta negativa da notificarsi entro il suddetto termine di sessanta giorni sia al datore di lavoro che al lavoratore (diniego impugnabile dal lavoratore entro il termine di 60 giorni dalla notifica), il congedo retribuito si deve intendere concesso nella modalità e nei termini richiesti, in applicazione del principio del silenzio-assenso.

Mi permetto di suggerire, infine, che sia l’INPS – il quale già assicura con puntualità i pagamenti di altre indennità di invalidità – a provvedere all’accredito dei contributi figurativi ed al pagamento diretto del lavoratore in congedo, a valere su appositi fondi di dotazione, evitando, in tal modo, ogni forma di anticipazione e successivo conguaglio da parte del datore di lavoro, già gravato dall’onere di dover sostituire, nella maggior parte dei casi, il lavoratore in congedo retribuito.

Nel ringraziare per l’attenzione prestata e per la disponibilità da accordare, porgo distinti saluti.

Il padre di Francesca, 8 anni
Dr. Mario BARBATO

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