Altra scoperta genetica italiana

0 Pubblicato da Mer, 03 Aprile 2013, 10:32

DRAFT 030501

Due geni candidati per l’autismo sono stati idenficati nel progetto di ricerca e di studio della Fondazione NAAR.
La comprensione dell’autismo ed eventualmente la sua efficace cura e i metodi di prevenzione, non potrebbe prescindere dalla scoperta ed identificazione dei geni in esso coinvolti. Negli ultimi formidabili sei mesi abbiamo assistito alla pub-blicazione di due studi che hanno identificato due dei “candidati” geni per l’autismo. Entrambi questi geni sembrano statisticamente associati alla malattia. Forse ancor più significativo il fatto che questi due geni appaiono avere funzioni compatibili con le conoscenze neurobiologiche relative all’autismo. L’associazione NAAR si onora di queste importanti riscontri e ricerche dell’anno 1999 del dr.Flavio Keller, del dr. Christopher Stodgell, e dei loro colleghi.

Tra le molte cause dell’autismo che sono state proposte vi è una piccola disputa tra la comunità degli scienziati in cui i genetisti giocano un ruolo critico.
Di tutte le malattie genetiche “complesse”, studiate, l’autismo riconosce la più al-ta “ereditabilità” (e cioè è la più “genetica”). Il più comunemente chiaccherato me-todo di ricerca dei geni è l’esame del genoma ovvero gli “studi di connessione, o di legame”. Questo metodo è stato utilizzato per identificare i geni di molte altre malattie del cervello, come l’Alzheimer, la Chorea di Hantington e i geni coinvolti sono stati descritti con mappature genetiche umane circostanziate.

Sfortunatamente, per la maggior parte delle complesse malattie del cervello, come ad esempio i disordini bipolari, la malattia di Tourette e l’autismo, i geni a queste associate non sono stati ancora individuati. Le ragioni di ciò non sono così chiare. Il dr. Risch e i suoi colleghi a Stanford, pensano che l’autismo veda coinvolti 15 o più  geni. Le ricerche procedono e nuovi metodi ed analisi sono utilizzati. I genetisti rimangono comunque ottimisti sulla possibilità di scoprire altri geni dell’autismo per l’alta “ereditabilità” della malattia. 

Di seguito riportiamo la storia di due gruppi di ricercatori che hanno individuato geni associati all’autismo. Un gruppo giunse a questa scoperta mentre lavorava sull’individuazione delle cause dell’elevato tasso ematico di serotonina nell’autismo, mentre l’altro si occupava da anni di accurate misurazioni e di riscontri basati sull’evidenza. 

Il gene “reelina”. 

Molti genitori di soggetti autistici hanno conosciuto il lavoro di Kurt Reichelt di Oslo (Norvegia). Per oltre vent’anni egli ha pubblicato i suoi lavori sui peptidi urinari anormali nei bambini  autistici. Egli ipotizzò che molti di  tali  reperti potessero essere dovuti alla caduta improvvisa di alcune sostanze “esogene” (sostanze  cioè di cui noi dovremmo poter disporre nel corpo e che ci arrivano tramite il cibo).

Reichelt nello specifico ipotizzò che il “glutine” e la “caseina” potrebbero essere direttamente coinvolte; cosa che indusse molti genitori ad alterare la dieta dei lo-ro bambini. In una pubblicazione del 1999, Reichelt e i suoi colleghi pubblicarono il rilievo di un significativo aumento, nel sangue dei bambini autistici, del tasso di un particolare tripeptide: il PyroGlu-Trp-GlyNH2. Questo tripeptide risulta costi-stuito da tre aminoacidi: l’acido glutammico, il triptofano e la glicina. (Gli aminoa-cidi sono costruiti a blocchi che messi assieme formano peptidi. Le lunghe cate-ne di peptidi sono conosciute come proteine).

Questo particolare peptide è molto intressante perché è stato dimostrato essere un potente stimolatore della captazione di serotonina all’interno delle piastrine.
Da molti anni era noto che molti individui con autismo presentavano un alto livel-lo di serotonina nel sangue.

Un collaboratore del dr. Reichelt, il dr Flavio Keller (Roma – Italia) propose alla Fondazione NAAR di ripercorrere la sperimentazione del gruppo norvegese di Reichelt per cercare questo particolare peptide nel plasma sia in soggetti norma-li che con autismo. Con tale studio si sarebbe potuto confrontare e correlare il livello di serotonina tra autistici e parenti di primo grado. L’obiettivo del dr. Keller era quello di cercare un marcatore biologico per l’autismo e forse una traccia per la ricerca di un candidato gene.
Ciò che accadde successivamente fu una di quelle cose che frustrano alcuni ma non sorprendono gli scienziati.

Il dr. Keller e il suo gruppo di ricerca non riuscirono a trovare nei soggett italiani sottoposti ad esame, il famoso tripeptide. Essi pensarono che forse, si era di fronte ad una sostanza peculiare della popolazione norvegese. Con l’idea di veri-ficare questa interpretazione il dr. Keller chiese al dr. Reichelt di inviargli il mate-riale di esame prelevato dai soggetti norvegesi. Ben due laboratori italiani diversi, furono incapaci di individuare il tripeptide nei materiali e pertanto il lavoro del Dr. Reichelt risultava irripetibile. A questo punto la ricerca poteva definirsi conclusa essendo negativo ogni riscontro.

Fortunatamente comunque, durante il lavoro di questo gruppo di ricercatori sulla evidenzione del tripeptide, ci si preoccupò anche di individuarne le eventuali sor-genti. Essi analizzando le registrazioni dei dati riconosciuti ed accessibili sulle proteine evidenziarono la possibilità di migliaia di fonti diverse. Essi si preoccu-parono di aggiungere via via anche altri peptidi, trovati da Reichelt (sebbene mai pubblicati). Combinando questi peptidi si evidenziò che solo una proteina poteva essere responsabile della creazione di questi peptidi ed era la sola “reelina”. Era un concetto intrigante sebbene, per dirla tutta, questa particolare proteina risul-tasse “estraibile dai capelli sottili”. La “reelina” è “una proteina segnalatrice” che ricopre il ruolo di perno nella migrazione di alcuni tipi di neuroni e nello siluppo delle connessioni neuronali. Vi sono inoltre alcuni recenti rilievi scientifici che ve-dono la reelina implicata nella schizofrenia.

Vi è un modello animale (reeler-topo)che presenta una delezione del gene della reelina e, in modo estremamente ineteressante, questo modello animale ha a che fare con l’autismo. Sia i topi del modello che gli individui umani con autismo hanno evidenziato possedere un minor numero di cellule di Purkinje nel cervellet-to, cosiccome una displasia del nucleo dentatus con una riduzione della conta numerica delle cellule nell’adulto.
Nel tronco cerebrare in via di sviluppo entrambi i gruppi studiati (modello e auti-stici) presentano un nucleo olivare inferiore displastico e alterazioni nella citoar-chitettura dl nucleo faciale. Ci sono anche anormalità neil’ippocampo, nella cor-teccia tentoriale e nell’amigdala.
Le più caratteristiche più significative del “topo reelin” è l’inversione della stratifi-cazione corticale il che significa che gli strati cellulari sono stratificati in modo in-vertito; gli strato sopra sono sotto e viceversa. Questo non è presente nell’autismo anche se un recente lavoro sull’autismo evidenzierebbe un aspetto patologico in soggetti con autismo, consistente in una anormale migrazione e laminazione o stratificazione nella corteccia cerebrale.

Una quasi “coincidenza” è che il “gene reelina” è stato localizzato sul cromoso-ma7q 22 – – un area che quattro gruppi genetici, impegnati nel vaglio del geno-ma, hanno ognuno indicata come area di interesse pur non rilevandovi significati statistici.

Così se il gene della reelina è stato trovato essere anormale, esso potrebbe con-tribuire a connettere riscontri se non persino essere sufficiente per ergersi a cau-sa singola di autismo.
Tornando aprima il dr Keller detrminò lo studio del gene in due modi.
Uno fu attraverso lo studio di una associazione caso-controllo.
Questo significa che il dr. Keller e i suoi colleghi eseguirono una comparazione tra un gruppo di individui con autismo e un gruppo di controllo. Sebben questo metodo può essere uno strumento poderoso nello studio dei geni uno dei rischi è che chi investiga deve prestare molta attenzione nella selezione di un appropria-to gruppo di controllo. Per esempio molti geni sono più comuni in certi gruppi et-nici e così fattori simili debbono essere tenuti d’acconto. Quanto loro trovarono era un’area sul gene della reelina con un variabile numero di trinucleotidi ripetuti, per esempio il numero delle ripetizioni non era identico tra tutti gli individui.
Questo tipo di variazioni nella sequenza del gene è detta “polimorfismo”. Un “po-limorfismo” non significa necessariamente malattia ma esso può servire come “marker” per determinare se un particolare gene è o meno associato ad una ma-lattia.
Perciò il dr. Keller e il suo team misero sotto osservazione il polimorfismo che avevano trovato nel gene della reelina nei due gruppi di comparazione. Un gruppo era costituito da 95 individui con autismo di discendenza italiana, mentre l’altro era costituito da 186 individui sani della stessa razza e gruppo etnico.

Essi riscontrarono che il 17,9 % dei soggetti del gruppo con autismo possedeva-no un allele lungo de detto gene ( vale a dire; ripetizioni di più di 11 trinucleotidi) mentre nel gruppo di controllo questo era presente solo nel 7,1% dei casi. Que-sta differenza è statisticamente significativa.
Il dr. Keller e i suoi effettuarono anche un secondo tipo di studio chiamato “test della disquilibrio nella trasmissione”. In questo tipo di studio
Essi osservarono la trasmissione genica tra le famiglie. A causa del fatto che in questo tipo di ricerche si studia la trasmissione da genitore a figlio, il controllo stesso non è sempre identico. Comunque essi furono capaci di aggiungere 89 americani con autismo cosicchè vi erano un totale di 172 trii-individuali (il sogget-to autistico e i due genitori) e 395 familiari di primo grado. Ciò che loro trovarono fu che la trasmissione dell’allele lungo era significativamente più comune nei bambini colpiti dalla malattia che in quelli non affetti da uatismo.
Questo è il tipo di patologia che si trova nella Sindrome dell’X Fragile. Ciò che succede è che le stesse tre basi vengono allineate e disposte in un certo ordine e poi, come in una disco saltellante, riproposte di nuovo. Questo succede in tutti noi ma se succede troppo spesso poi esita in malattia. Per esempio è risaputo che nell’X Fragile se c’è un certo numero di ripetizioni poi l’individuo diviene un portatore. Se inoltre il numero di ripetizioni supera un certo valore l’individuo poi manifesterà la malattia e con una espressività proporzionata alla quantità stessa delle ripetizioni.

Così come in una ricerca scientifica questo riscontro dovrebbe essere conside-rato preliminare e dovrebbe essere replicato da atri gruppi inipendenti di ricerca. E’ comunque incoraggiante che un gruppo di lavoro dell’Università del Queens in Ontario Canada ( dr. Zang e all.) abbia presentato riscontri preliminari ad un re-cente meeting scienifico dove hanno fatto rilevare l’esistenza di ripetizioni di tri-nucleotidi nella stessa regione del gene della reelina in pazienti autistici.
E un altro gruppo non correlato dell’Università del Minnesota( dr Fatemi e all.) hanno misurato il livello di reelina nel tessuto cerebellare autoptico di autistici, trovando una riduzione del 43% rispetto a gruppi di controllo comparati. I rilievi del dr. Keller offrono la promessa di un nuovo avvenire nella ricerca e la possibili-tà di identificare un candidato gene nell’autismo.

HOXA 1 gene

Proprio qualche mese prima noi avemmo la nostra ondata di emozione quando il gruppo di ricerca sull’autismo dell’Università di Rochester riportò una significativa associazione con un altro gene. Questo non fu una sorpresa visto che questo gruppo di ricerca ci aveva lavorato sopra per molto tempo. Infatti il lavoro preli-minare di questa comunicazione era il soggetto della prima pubblicazione BOL-LETTINO NAAR con un articolo dell’estate del 1997.

Questo lavoro ricevette anche una grande diffusione pubblica quando fu pubbli-cato come tratto distintivo della rivista “Scientific American” nel febbraio 2000. Comunque, per quei lettori che non hanno familiarizzato con il lavoro della dr. Patricia Rodier e dei suoi colleghi, cercgerò di riassumere qualcosa del loro pre-cedente lavoro.
Durante un lavoro di ricerca sui sopravvisuti al “talidomide” e specificamente la-vorando su una malattia del movimento oculare causata dalla esposizione al tali-domide, due oculisti ricercatori, Miller e Stromland fecero una importante osser-vazione. Dei 100 sopravvisuti al talidomide conosciuti in Svezia, le registrazioni indicavano che le madri di 15 di loro avevano assunto talidomide fra il 20 –24 giorno di gestazione. Cinque di questi 15 casi presentarono bambini con auti-smo. Inoltre nelle madri che avevano assunto talidomide in qualsiasi altro perio-do della gravidanza, (ndr. Negli altri 85 casi) non si ebbe incidenza di auti-smo.Sebbene questi numeri siano piccoli la rilevanza statistica è significativa. Questo lasciò ipotizzare alla dr. Rodier, esperta embriologa, che sebben il tali-domide non rappresenti la causa di autismo nella popolazione in genere, questo riscontro suggerisce fortemente che una forma di autismo è causata da un danno che agisce in utero sullo sviluppo del sistema nervoso durante i primi giorni di gestazione (20-24). Le implicazioni di questa ipotesi sono che , sebbene ancora non si sappia la causa dell’autismo, si comincia a comprendere “quando” è cau-sato.

Per queste ragioni gli scienziati possono restringere la ricerca delle cause tenen-do presente il tempo e l’area del cervello colpite nei soggetti autistici che sono sopravvisuti alla somministrazione di talidomide.

La dr.ssa Rodier e i suoi colleghi, compreso il dr. Cristhoper Stodgell, (NAAR 1999) e Roland D. Ciranello, (M.D. Memoria Fellow nella Ricerca di Base), ebbe-ro a proporre questa ipotesi in diverse maniere. Clinicamente essi notarono delle anormalità nei nervi cranici in bambini autistici (nervi che innervano la faccia, in-cluso l’orecchio, la bocca, gli occhi e i muscoli faciali).Questo fu osservato sia dal puno di vista clinico che in sede autoptica cerebrale. Fu eseguito anche un mo-dello animale utilizzando gli effetti chimici dell’acido valproico. E’ la stessa so-stanza del medicamento DEPAKIN. L’acido valproico è simile al talidomide per il fatto che interrompe la chiusura del tubo neurale, il processo biologico che si at-tua nel cervello tra il 20 e il 24 giorno di gestazione uterina. Il modello animale con topi ha molti dei rilievi neuroanatomici cerebrali che si sono notati nell’autismo. Questo modello animale è stato adottato da molti altri ricercatori come il miglior modello attuale per l’autismo.

Un altro animale è il topo “knockout” (chiusofuori) a cui è stato bloccato il gene Hoxa 1(che pertanto risulta inespresso); Questo è il gene che si esprime sola-mente in una fase precocissima dello sviluppo cerebrale. Esso è coinvolto in questi stessi processi durante lo stesso periodo di tempo ( 20 °-24° giorno di svi-luppo in utero)

Questo topo knock-out ha molte somilianze con le anormalità cerebrali reperite nell’autismo. Questi rilievi hanno consentito al gruppo di Rochester di investigare se le anormalità del gene Hoxa 1 erano ciò che attualmente vede coinvolto nella lesione riscontrata nei soggetti con autismo.
I risultati delle ricerche della dr.ssa Rodier e del dr. Stodgell e dei loro colleghi furono pubblicate lo scorso anno nel Journal of Teratology. Essi trovarono che esisteva una variante del gene Hoxa 1. Questa variante consisteva in una sosti-yuzione di una singola base, guanina per adenina. Sebbene questo gene sia tra quelli altamente preservati (sue anormalità risultano incompatibili con lo sviluppo intrauterino o la vita) e risulti espresso trasversalmente attraverso le specie (i ge-ni Hox sono presenti persino negli insetti ) questa risulta essere la sola variante attualmente conosciuta tra i mammiferi.
Essi fecero una comparazione di questa variante per un controllo tra la popola-zione ottenendo interessanti risultati. Negli individui con autismo 21 soggetti dei 57 esaminati possedevano la variante anormale. Nel gruppo di controllo, solo 26 su 119 individui avevano questa variante. Questa differenza è statisticamente significativa. Altre considerazioni emergono dall’analisi dei dati.
Nel gruppo di controllo, distinto per etnie, si contano 0 individui su 30 con la detta variante nella popolazione asiatica, mentre nella popolazione (discendenti), afri-cana ed europea, la variante è stata riscontrata in 26 individui su 63 esaminati. Questa famosa variante sarà presente negli individui asiatici con autismo?

Al momento non si sa. Inoltre la variante, piuttosto comune nella popolazioni afri-cane ed europee, è anche molto comune nei familiari dei soggetti austistici. La frequenza era uguale nei familiari ammalati, cioè familiari che presentano anche loro autismo o perdita del linguaggio. Nei parenti non ammalati, 44 di 135 perso-ne in totale furono riscontrate possedere la variante. Sebbene questo sia meno comune che nella popolazione ammalata è ancora un valore estremamente si-gnificativo. Quando essi esaminarono la trasmissione del gene da genitori a fi-glio, i riscontri furono di nuovo interessanti. La discendenza non ammalata pre-senta la variante trasmessa in una percentuale minore rispetto alla quota statisti-ca significativa. La probabilità di trasmissione della variante patologica del gene Hoxa 1 nel figlio, diviene maggiore se la variante del gene risulta già presente nella madre, più che nel padre. Nel bambini “maschi”, ammalati di autismo,in cui uno o entrambi i genitori presentano la variante del gene, 19 casi su 30 hanno la variante patologica mentre nelle femmine 9 su 9. Tra tutte le femmine della di-scendenza includendo le femmine non affette, 13 su 14 possiedono la variante. Questo sembra suggerire che le femmine sono più vulnerabili nella trasmissibilità della variante. Non si sono osservate differenze, dal punto di vista clinico tra indi-vidui affetti da autismo che presentano la variante del gene dagli individui che non la presentano.

Mettendo assieme tutte queste osservazioni si giunge a una serie di riscontri che suggeriscono alcune considerazione ma non conclusioni. Come in tutte le scien-ze la riproducibilità è essenziale e necessaria. In questo caso, siamo fortunati che questo gruppo è parte di una Programma di Collaborazione sull’Autismo (CPEAs), un network di gruppi di ricerca sull’autismo fondato dall’Istituto Nazio-nale dello Sviluppo della Salute del Bambino (NICHD), della Sordità e dei Di-sturbi della Comunicazione (NIDCD). Questo network è ora impegnato nella re-plica su larga scala di questi risultati. Noi speriamo che questi studi possano con-fermarsi presto. Con più grandi numeri, nuove osservazioni potranno studiare meglio alcuni dei trend osservati come quelli relativi alle etnie e ai generi.
A questo punto il pensiero di questi ricercatori è che l’Hoxa 1 possa essere un gene candidato per l’autismo. Cioè, possedere la variante di tale gene non è causa di autismo ma potrebbe rendere l’individuo più vulnerabile a svilupparlo. E’ possibile che questo rappresenti una suscettibilità rilevante ad insulti ambientali. Ovvero, come ulteriore possibile spiegazione, la presenza di detta variante po-trebbe significare una maggior vulnerabilità all’azione di un altro gene anormale che di per sé non risulterebbe sufficiente a determinare l’autismo. Questo è simi-le ai rilievi fatti quest’anno sulla Sindrome di Rett i cui ricercatori hanno scoperto un gene “regolatore” (che è il gene che regola la funzione di altri geni) che è ri-sultato anormale nell’80% dei casi di Rett sd.

E’ difficile a questo punto definire il ruolo e l’impatto dei dati sul “gene reelina” e sul gene Hoxa 1. Essi comunque rappresentano un momento dirompente per la ricerca sull’autismo. Di converso, fino a che non saranno replicati da altri scien-ziati essi sono per ora riscontri incidentali. Alcune cose sono comunque certe. Avendoi a che fare con una così altamente ereditabile patologia, trovare dei geni coinvolti è essenziale per riconoscere cause e possibili terapie. E comunque per-sino riscontri accidentali forniscono preziosi contributi che la scienza utilizzerà poi e da cui potrà partire per nuove investigazioni, che mattone dopo mattone costituiranno il fondamento da cui far emergere le future risposte.